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 2012  giugno 15 Venerdì calendario

MITTERRAND E IL SOCIALISMO L’ATTORE ALLA RICERCA DEL TEATRO

La Francia e l’Italia hanno avuto quasi in coincidenza, tra la fine degli anni 70 e la metà degli 80, due presidenti socialisti, Mitterrand e Pertini. Ci sono analogie e contatti tra le due figure, oppure le differenze sono molto più numerose, come credo, a cominciare dalla differente esperienza nel periodo dell’occupazione tedesca nei rispettivi Paesi?
Gianpaolo Perinelli
johnper@libero.it
Caro Perinelli, non sono certo che fossero entrambi «socialisti», come lei scrive. Pertini s’iscrisse al partito socialista dopo la Grande guerra, da cui era uscito con il grado di capitano e una medaglia d’argento, e rimase legato agli ideali della sua giovinezza sino alla fine della vita. Mitterrand, invece, giunse al socialismo molto più tardi, dopo un percorso alquanto tortuoso.
Quando «salì» a Parigi dalla provincia negli anni Trenta, militò per qualche tempo nelle file di una delle tante Leghe extraparlamentari che occupavano allora il proscenio della politica francese. Si chiamava «Les croix de feu» (le croci di fuoco), era bellicosamente cattolica ed era stata fondata da un interessante personaggio, il colonnello François de La Roque, che aveva combattuto in Marocco contro i ribelli e sul fronte occidentale della Grande guerra dopo il 1916. Per la sinistra francese, in quel periodo, La Roque era fascista, ma la definizione era probabilmente sommaria e ingiusta.
Chiamato alle armi dopo la scoppio della guerra, Mitterrand fu catturato dai tedeschi durante l’avanzata della Wehrmacht nel giugno 1940, ma fuggì dal campo di concentramento e raggiunse Vichy dove lavorò nell’amministrazione del maresciallo Pétain ed ebbe una decorazione, la «Francisque», istituita per coloro che si erano distinti al servizio del regime. Sostenne più tardi, tuttavia, che la decorazione gli era stata data quando era ormai da tempo nelle file della Resistenza. Nei primi anni del dopoguerra fece una rapida carriera politica in un piccolo gruppo di centro-sinistra, e fu ministro degli Interni nel governo di Pierre Mendès-France quando scoppiò la guerra d’Algeria. A giudicare dalle sue dichiarazioni di allora, i fellah (contadini) erano «nemici irriducibili della nostra presenza che occorre sottomettere con le armi». Cambiò gradualmente la sua posizione negli anni seguenti, ma fu per molto tempo un uomo politico senza fissa dimora, alla ricerca di un partito e di una parte in commedia. La ottenne dopo l’avvento di De Gaulle al potere quando riuscì ad accreditarsi come il maggiore oppositore del sistema politico fondato dal generale De Gaulle e sfidò il presidente in carica nelle elezioni presidenziali del 1965 e del 1974.
Fu sconfitto in entrambe, ma nel 1971 era riuscito a conquistare la guida del partito socialista. Lo aveva raccolto dalla prostrazione in cui era caduto dopo gli errori commessi nel maggio del 1968, ne aveva preso la guida al congresso di Epinay, lo aveva rinnovato, era riuscito a rovesciare il rapporto di forze tra socialisti e comunisti. Qualche anno dopo, nel 1981, avrebbe conquistato la presidenza e trascinato con sé il Ps al governo del Paese. Fu il suo miracolo politico e i socialisti gliene sono infinitamente grati. Ma ho sempre avuto l’impressione che il partito socialista fosse per François Mitterrand ciò che fu la Fiat per Sergio Marchionne quando ne divenne amministratore delegato: una vecchia casa con un passato glorioso e molte potenzialità, ma un po’ decaduta e deperita. Nella politica francese della seconda metà del Novecento Mitterrand fu il grande attore a cui mancavano, per affermarsi, un teatro in cui recitare e un dramma di cui essere protagonista. Fu socialista perché era quella l’insegna del teatro che attendeva da tempo un impresario e un attore.
Sergio Romano