Giovanni Caprara, Corriere della Sera 15/06/2012, 15 giugno 2012
SE DOPO 150 ANNI MANCA IL 60% DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA
La terra trema, la pioggia intensa causa smottamenti e crolli, le risorse idriche sono un rebus eppure la «carta geologica» della Penisola dalla quale trarre aiuto resta un’aspirazione. Già il ministro Quintino Sella (ingegnere idraulico) nel 1867, aveva ritenuto opportuno realizzarla e fece il primo passo per migliorare la gestione del Regno. Ne usciva una carta in scala 1:100 mila, un po’ grande ma utile per incominciare ad affrontare il problema. Il guaio è che doveva passare oltre un secolo per decidere il secondo passo necessario di un approfondimento in scala 1:50 mila. Solo negli anni Ottanta si riprese il lavoro. Ma, trascorsi trent’anni, si è completato appena il 40 per cento. L’ultimo finanziamento di cinque anni fa è esaurito, l’operazione è ferma. Nel nostro Paese si continua a discutere su tutto senza arrivare a concludere mai e le discussioni sono interrotte solo dalle cerimonie funebri delle vittime dei disastri naturali che fanno scattare la solidarietà. Ieri l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e il Consiglio nazionale dei geologi, stanchi di sollecitare inutilmente i governi, lo hanno detto pubblicamente a Bologna, sperando che dal cuore della terra martoriata le parole possano colpire di più chi deve decidere. Per completare la fatidica carta occorrono 15-20 anni e una spesa di 200 milioni di euro, dieci all’anno. Sono troppi per pensare finalmente in modo serio alla prevenzione dei disastri ambientali? O si preferisce continuare a consolare famiglie distrutte? I finanziamenti devono essere spartiti tra Stato e Regioni. Sarebbe interessante un confronto con le spese «subite» per riparare i gravi danni alle abitazioni, al patrimonio artistico, alle infrastrutture in genere derivati dalla cattiva gestione del territorio per ignoranza. Gli altri Paesi europei che geologicamente stanno meglio, la carta ce l’hanno già da tempo. Noi possiamo farne a meno?
Giovanni Caprara