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 2012  giugno 15 Venerdì calendario

I SOLDI DELLA MALA SI COMPRANO SAN MARINO


Dalla rocca di San Leo, dove una mano misteriosa non fa mai mancare un fiore fresco davanti alla cella nella quale Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, terminò i suoi giorni duecentodiciassette anni fa, San Marino appare di notte come il Paese dei balocchi che abbiamo sempre immaginato. Ma a dispetto delle migliaia di luci colorate che da lontano la fanno assomigliare al Rex del felliniano Amarcord, sospeso fra mare e cielo, la piccola Repubblica sta attraversando uno dei momenti più bui della propria storia. Per quanto possa sembrare incredibile, la recessione è arrivata anche qui. Da tre anni almeno. Ecco la fotografia di Giuliano Tamagnini, il segretario generale della Confederazione sammarinese del lavoro, sindacato omologo della nostra Cgil: «Prima della crisi la disoccupazione era al due, massimo tre per cento. Ora siamo al sette. Compresi quelli dei frontalieri, sono andati perduti un migliaio di posti di lavoro. A San Marino ci sono ormai 1.200 disoccupati su 19 mila dipendenti». L’industria zoppica, il commercio langue, e nemmeno il turismo si sente tanto bene. Da quattro anni il Titano è patrimonio dell’umanità, eppure il bollino dell’Unesco non ha mandato in orbita gli affari, come molti speravano. La permanenza media dei turisti è di tre ore.
Ma è una crisi molto diversa dalla nostra. San Marino non ha debito pubblico. Meglio: non ce l’aveva. Perché adesso lo Stato è esposto con le banche per 150 milioni. Ammesso che si possa definire debito pubblico, arriviamo a malapena al 10 per cento del Pil. Niente a che vedere con il nostro 120. Però è destinato ad aumentare. E pure in fretta, se non si corre ai ripari. Qui si va ancora in pensione con il sistema a ripartizione, che in Italia è stato archiviato nel 1995. Con il risultato che in media ogni pensionato si porta via tre volte quello che ha versato durante la vita lavorativa. Mentre le entrate fiscali continuano a calare. Ora sono scese intorno ai 150 milioni l’anno. Così anche nello Stato dove si pagano meno tasse d’Europa, il governo deve aumentarle. La pressione fiscale media era al 17 per cento. Ora salirà un poco, ma più per i lavoratori dipendenti che per gli autonomi. E soprattutto per i frontalieri che arrivano dall’Italia: a loro non è più concessa una certa detrazione, il che si traduce in maggiori imposte per 200 euro al mese. Ma la prospettiva, quella è davvero preoccupante. San Marino ha rapporti economici quasi esclusivamente con l’Italia.

La speranza di un accordo. E ora per le aziende sammarinesi è diventato un serio problema lavorare con ditte italiane. Quelle del circondario romagnolo e marchigiano che mantengono relazioni con imprese residenti sul monte Titano sono perennemente a rischio controlli della Guardia di finanza. Basta fatturare più di 5 mila euro l’anno. Da un paio d’anni la pressione delle autorità italiane si è fatta fortissima. La piccola Repubblica è nella black list. Ora spera di uscirne con la firma di un accordo con l’Italia contro le doppie imposizioni fiscali, a lungo inseguito. Ma è una speranza, appunto… Il progetto di sviluppo messo a punto da Denis Cecchetti per il sindacato di Tamagnini riporta un dato da brivido: Tax justice network colloca San Marino in testa fra le “giurisdizioni offshore” che offrono i maggiori livelli di schermatura per le operazioni finanziarie. La percentuale di segretezza, secondo l’indice elaborato da questa autorevole associazione internazionale, sfiora l’80 per cento.

Un passato glorioso. Qui le banche e le finanziarie si sono moltiplicate alla velocità della luce. Fino allo scorso anno ce n’erano 12. Dodici, per 32.193 anime: una ogni 2.682 residenti. Per non parlare di quella cinquantina di finanziarie dove spesso si trovano nomi di politici locali e loro sodali. E del tanfo, insopportabile, di soldi sporchi. Perché il denaro ha odore, eccome. Nei secoli, San Marino era stato il paradiso della libertà. Nell’estate del 1849 salvò Giuseppe Garibaldi, in fuga dalla Repubblica romana verso Venezia. E con lui probabilmente anche il nostro Risorgimento. Durante l’occupazione nazista si salvarono qui migliaia di romagnoli, che trovarono scampo dagli orrori della guerra. Poi, da paradiso della libertà, si è trasformato in paradiso fiscale. Dove adesso è in atto una lotta fra il bene e il male. Fra chi vuole far tornare la Serenissima Repubblica un Paese normale e chi non ci pensa proprio a smettere di usare San Marino come lavatrice per soldi, senza curarsi troppo della loro provenienza. La verità è che più che un pezzo di Romagna o Montefeltro, questo assomiglia ormai a un pezzo della Calabria martoriata da speculazione edilizia, clientele, assistenzialismo e criminalità. In un Paese con 32 mila abitanti ci sono migliaia di appartamenti sfitti. C’è chi dice ottomila: uno ogni quattro persone. Che cosa se ne fanno di tutti questi immobili? Niente, è il denaro in eccesso che viene riconvertito in mattoni. I dipendenti pubblici, poi, sono un numero abnorme: circa 4.500. Il triplo che in Italia, in rapporto ai residenti. Come mai? Perché un posto fisso nello Stato non è stato mai negato a nessuno: i soldi certamente non mancavano. Per quanto riguarda la faccenda più inquietante lasciamo parlare il nuovo presidente della Banca Centrale. «Si sono progressivamente affermati comportamenti sempre meno rispettosi di quei valori etici sui quali deve fondarsi la società. Ne è conseguito un aumento esponenziale di pratiche non solo poco rispettose di quei valori, ma anche della legalità stessa, fino all’ingresso della criminalità organizzata nei sistemi finanziari, creditizi ed economici»: sono le parole che Renato Clarizia ha pronunciato pubblicamente il 28 maggio.

Il proliferare delle banche. Il governatore, avvocato a sua volta, è fratello del noto amministrativista Angelo Clarizia. È arrivato insieme al nuovo direttore generale Mario Giannini. Fratello, anche lui, di un altro personaggio piuttosto conosciuto in Italia: il presidente dell’Isvap Giancarlo Giannini. I loro predecessori Biagio Bossone e Luca Papi se n’erano andati sbattendo la porta dopo che il capo della vigilanza Stefano Caringi era stato rimosso all’improvviso senza che i due fossero stati consultati. Il motivo? Gira voce che avesse ficcato il naso negli affari della Banca Partner del potentissimo immobiliarista Marino Grandoni. Medesima banca, la Partner, appena autorizzata dai nuovi vertici dell’Istituto Centrale ad acquisire il Credito industriale sammarinese.
Da un anno e mezzo Clarizia si destreggia, insieme a Giannini e al capo della vigilanza Antonio Gumina, ex dirigente della Banca d’Italia, in una situazione pazzesca. Che però non gli doveva essere del tutto sconosciuta. In precedenza era stato infatti consulente per la Fingestus, finanziaria poi coinvolta in una pelosa inchiesta giudiziaria. Circostanza che gli ha provocato una raffica di richieste di dimissioni. Per non parlare degli esposti alla magistratura, degli attacchi dei giornali locali, dei veleni… Il clima, insomma, è decisamente fetido.
Sentite che cosa ha detto ancora il governatore il 28 maggio: «Sia talune normative, ad esempio quella sul segreto bancario, che alcune lacune legislative, ad esempio nel recepimento delle regolamentazioni antiriciclaggio, hanno consentito l’afflusso di ingenti capitali nella Repubblica e il proliferare di banche e finanziarie certamente non giustificato dall’ampiezza del territorio, dalla popolazione e dal contesto economico. La crisi finanziaria, il necessario adeguamento alla normativa di vigilanza, l’emergere della malavita nel tessuto economico, la necessità di acquisire credibilità hanno imposto interventi urgenti e drastici di pulizia, che si sono scontrati con quei poteri sociali e finanziari contrari al cambiamento, strenui difensori delle proprie ricchezze e del loro potere, illusi ancora di poter far prevalere le loro personali rendite di posizione sociale, politica, economica, sull’interesse pubblico». Frasi che non sono andate giù ad alcuni maggiorenti locali. Il commercialista Paolo De Biagi, che si era scatenato a suon di denunce contro la Banca Centrale, si è sentito toccato nel vivo, e ha replicato con un comunicato stampa al curaro: «Clarizia sa bene che io non rappresento né poteri forti, né rendite personali. Rappresento solo me stesso e cerco di dar voce a tutti quei sammarinesi che si sentono colpiti dagli interventi di Banca Centrale sul nostro sistema economico e finanziario, dalla eccessiva spesa che lo Stato deve sostenere per una sproporzionata struttura dell’Istituto Centrale e per l’ammontare degli stipendi corrisposti, superiori a quelli del governatore della Federal Reserve». Comunicato, per far capire l’atmosfera, pubblicato integralmente anche sul sito della televisione statale di San Marino, diretta dalla giornalista Rai Carmen Lasorella.

La cura dimagrante. Ma oggi è facilissimo toccare nervi scoperti. Le ferite provocate dallo scudo fiscale sono ancora aperte. Due miliardi e 774 milioni hanno preso il volo verso l’Italia, mentre c’è chi calcola che dei 7,3 miliardi ancora depositati nei 58 (cinquantotto!) sportelli bancari ce ne siano almeno due, forse tre, di origine inconfessabile. Intanto però il giro di vite su banche e finanziarie rischia di fare morti e feriti: da dodici che erano nel 2010, per il prossimo anno gli istituti di credito non dovrebbero essere più di sette. Sempre troppi. Ed è chiaro che per imboccare seriamente la via della normalità, anche nei rapporti con l’ingombrante vicino italiano, una semplice cura dimagrante non può bastare. Non basta, se è stato possibile per un revisore della Banca Centrale, tal Massimo Francioni, ricoprire anche contemporaneamente l’incarico di presidente del collegio sindacale della Business & Financial Consulting, finanziaria commissariata dalla stessa Banca Centrale. Non basta, se il presidente della Commissione antimafia del Consiglio Grande e Generale, cioè il Parlamento, si è visto perquisire qualche settimana fa lo studio per un’inchiesta sul riciclaggio. E Marco Gatti, che si è dovuto dimettere, non è uno qualunque: lui è il segretario della Democrazia cristiana (perché a San Marino la Balena bianca è sopravvissuta), cioè il partito di maggioranza, nonché il nipote di Gabriele Gatti. Chi è lo zio di Marco? Parlamentare democristiano come suo nipote, è stato per sedici anni ministro degli Esteri, quindi delle Finanze, e capitano reggente, cioè uno dei due capi di Stato, fino a un mese e mezzo fa. Dicono che a San Marino non si muova foglia che lui non voglia. Di Beppe Grillo, ancora nessuna traccia.
Sergio Rizzo