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 2012  giugno 14 Giovedì calendario

POVERO SILVIO, ORA RISCHIA DI PERDERE ANCHE IL MILAN - Né

i riferimenti lungimiranti, ma puramente casuali: “Tranquilli non vendo Kakà, Berlusca una squillo ha più dignità”. Né le sequenze vietate ai minori: “Galliani gobbo, Berlusconi interista”. Silvio censurerebbe il film. Fu proiettato nell’agosto di quattro anni fa tra striscioni, fumogeni, insulti e rischia di ripetersi. Il Milan è nei guai. La pronuncia della Cassazione sul lodo Mondadori, all’orizzonte. E oggi, a un quarto di secolo dall’insediamento, le gentilezze disegnate con lo spray verso i totem all’epoca: “Armani boia/Rivera la sua troia” rischiano di tornare indietro con gli interessi che ogni storia d’amore trascina con sé. Quelli passivi del giocattolo preferito dal re decaduto avrebbero bisogno di un nuovo sultano all’orizzonte. Ma tra un depistaggio e l’altro, l’unico disponibile fino a ieri, Ahmed Al-Maktoum (padrone della Emirates Fly) si è tirato indietro. Non per divergenze teologiche con Silvio il levantino: “L’occidente deve avere la consapevolezza della superiorità della sua civiltà”, ma per realismo. Dubai soffre. Il petrolio manca. Abu Dhabi, ricca di pozzi detta la linea e lo sprofondo finanziario del 2009 invita anche gli Emirati al rigore. Al-Maktoum continuerà a vedere quelli di San Siro in tv proseguendo a corrispondere fino al 2014 un milione di euro al mese per osservare il logo della compagnia aerea sulle maglie. I calciatori, da domani, cambieranno nome. Dopo aver accompagnato alla porta reliquie e anagrafe di Gattuso, Van Bommel, Seedorf, Nesta e Inzaghi, Galliani è passato ad altre pietre filosofali. Thiago Silva, brasiliano come Kakà, cui il Psg di Leonardo offre l’irrinunciabile raddoppio dello stipendio e un assegno, in direzione Milan di 50 milioni tra premi e contrappesi e gli altri come Zlatan Ibrahimovic, troppo costosi per rimanere in un clima di austerity obbligata. Oggi disegnano Barbara, la figlia in rapporti per così dire dialettici con gli altri eredi Piersilvio (Mediaset) e Marina (Mondadori), nel ruolo della tagliatrice di teste spedita a far ordine nel caos.
LA NATURALE oppositrice delle memorie di Adriano. Quelle in cui si vinceva a qualsiasi prezzo, spegnendo luci nelle notti marsigliesi o accendendole con plusvalenze, cene nel ristorante di Leonardo Meani o passaggi offerti ai designatori Bergamo e Pairetto sul volo (infausto) per Istanbul . Quel Milan non esiste più e per la prima volta, si parla di licenziamenti. Quaranta persone su 180, molte scelte dal geometra che in gioventù, come raccontano in un bel libro Luti e Solani, addomesticava l’esistenza sul Gargano in divisa da bagnino. Mare in tempesta. Pezzi di vita, tramonti. Ora, a un passo dall’ultima sfida di B., con la spina del governo Monti a corrente alternata, disfarsi del Milan non è possibile.
Così piovono smentite poco convinte sugli addii di Thiago Silva, del fidanzato della giovane Barbara, Pato, su Ibra e su tutti quelli che “il cuore”, come piagnucola il comunicato ufficiale, consiglierebbe di trattenere. Il Milan è una squadra che continua ad avere un valore d’impresa, stimato da Forbes nel 2011, di 838 milioni. Ma certe macchine, non può permettersele più nessuno. Con il pallone si perde dietro le quinte della finanza e neanche gli arabi dipinti come sciocchi in vena di follie si presteranno al teatrino. Potrebbero farlo cinesi o russi, ma dai nomi profetici che il Milan tratta (Acerbi del Chievo) si intuisce che i tempi non siano maturi. Così, con un grande futuro dietro le spalle, Berlusconi medita. Nessuno caccerà olgettine e calciatori dai loro appartamenti come avvenne, ai tempi della presidenza di Giussy Farina, con Hateley sfrattato da un cupo residence di Legnano. Ma sarà battaglia, anche cruenta, per ridurre sprechi e regalìe. Di Berlusconi il Milan era metafora e cosmogonìa. Eros e Pria-po. Cazzo, cazzotto e sfera magica: “È un affare costoso. Ma anche le belle donne costano”. Il miglior elemento del gruppo, quello che permetteva l’esistenza di tutti gli altri: “27 mila volte meglio perdere la Mondadori che il calcio. La seconda è una sconfitta definitiva”. Adesso la prospettiva si è ribaltata, Fininvest rimpingua le voragini e anche le sparate delle giovinezza rimangono tracce, modelli, passato: “Ho insegnato al Milan come si gioca al calcio”.
INDRO Montanelli aveva intuito deriva e conclusione prima di tutti. Berlusconi avrebbe vinto, per poi piangere, in una solitudine che oggi, conosciuti dettagli anche privatissimi, sembra più plastica e cupa di un mausoleo di Cascella: “C’è un solo pericolo: che il neo presidente voglia fare l’allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Potrebbe anche andare bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l’arbitro”. Ora Silvio, nerovestito per contingenza, può solo fischiare la fine di una partita in cui comandano altri. Più di qualunque triste burocrazia di bilancio, a essergli davvero insopportabile, è la verità.