Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 14/6/2012, 14 giugno 2012
MEGLIO MORTI CHE CONDANNATI
L’ultima trovata dei partiti merita l’encomio solenne: i condannati diventano ineleggibili, ma non dalle prossime elezioni: dal 2018, cioè dalla prossima legislatura. Cioè, vista l’età media dei nostri politici, quando i condannati saranno morti. Cioè quando sarà impossibile candidarli non per via della condanna, ma perché stanno sottoterra. Se non fosse in ballo una questione decisiva per l’economia, anzi per la stessa sopravvivenza dell’Italia – le tangenti che ci costano 60 miliardi l’anno – ci sarebbe da scompisciarsi. La presunta “legge anticorruzione”, nella migliore delle ipotesi, è totalmente inutile. E, siccome resterà in vigore per i prossimi decenni, è anche dannosa. D’ora in poi i partiti, o quel che ne resterà, potranno dire: ne abbiamo già fatta una, non rompeteci più le scatole. Uno specchietto per le allodole, utile a buggerare i gonzi che leggono sui giornali “anticorruzione” e pensano che sia davvero “anticorruzione”. Per combattere le tangenti bisogna incutere in chi le maneggia la paura di essere preso e la certezza di essere condannato e finire in carcere per un bel po’. Altrimenti, esclusi i pochi virtuosi di natura, la tentazione di corrompere (per l’imprenditore, che evita i rischi del libero mercato) e farsi corrompere (per il pubblico ufficiale, che si arricchisce e fa carriera nei partiti e nello Stato) è irresistibile. Oggi l’effetto del Codice penale sui tangentari è analogo a quello dello spaventapasseri: da lontano fa paura, da vicino fa ridere. Il colletto bianco sa bene che il rischio di esser preso è minimo e comunque l’eventuale condanna sarà virtuale, fra patteggiamenti, riti abbreviati, attenuanti, sconti, indulti e soprattutto prescrizioni. Dunque, se si vuole spaventarlo, bisogna aumentare le pene per garantire la certezza non dell’impunità, ma della pena; e bloccare la prescrizione al rinvio a giudizio, così l’imputato colpevole sa che il processo, che duri 6 mesi o 60 anni, finirà in condanna. A quel punto, anche per risparmiare sulla parcella dell’avvocato, gli conviene patteggiare (su un massimo di pena che lo mandi comunque in carcere per un po’) o almeno rinunciare ai cavilli che allungano i tempi in vista della prescrizione. Che fa invece la “legge anticorruzione”? Aumenta lievemente le pene per la corruzione propria (soldi o utilità in cambio di un atto contrario ai doveri d’ufficio), ma non abbastanza per giungere alla sentenza definitiva prima che scatti la prescrizione (8 anni e mezzo dopo la data del reato, che di solito viene scoperto molto tempo dopo). E lascia intatte le altre. I due nuovi reati, previsti dalla convenzione di Strasburgo (traffico d’influenze illecite e corruzione privata) hanno pene massime di 3 anni: niente intercettazioni né custodia cautelare, e prescrizione dopo 6 anni, massimo 7 e mezzo. Ma il peggio del peggio è la “riforma” della concussione per induzione: quando il pubblico ufficiale costringe il privato a dare la tangente o il favore illecito non con violenza o minaccia (in questi ambienti rarissima), ma facendogli capire che gli conviene. Tipo B. che chiama la Questura per far consegnare Ruby alla Minetti senza nemmeno dover ricordare al funzionario che il premier può stroncargli la carriera. O tipo Penati che fa capire – secondo l’accusa – agli imprenditori che, se vogliono le aree industriali, devono pagare il presidente della Provincia. Questa forma di concussione – che, come ha ricordato ieri Di Pietro, è la più diffusa tanto da diventare “ambientale” – viene riformulata con altro nome (“indebita induzione a dare o promettere utilità”), con pena massima molto più bassa (da 12 anni a 8) e prescrizione vieppiù ridotta (da 15 anni a 10). Risultato: il processo Ruby non si prescrive più nel 2025, ma nel 2020 (e probabilmente dovrà ripartire da zero); e il processo Penati non più nel 2017, ma nel 2012. Cioè è già prescritto per legge. Visto, firmato e sottoscritto da Pdl, Pd e Udc. Una mano (sporca) lava l’altra. Grillo, sentitamente, ringrazia.