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 2012  giugno 15 Venerdì calendario

CAOS IN EGITTO PARLAMENTO CHIUSO “È UN GOLPE”


Quindici mesi dopo, la rivoluzione egiziana sembra tornata al punto di partenza. «Ladri», urlano le centinaia di manifestanti fuori della Corte Suprema lungo la Corniche El Nil.
Incuranti del sole impietoso che brucia anche il respiro, lo urlano all’indirizzo dei giudici che hanno appena dichiarato decaduto il Parlamento dominato dagli islamisti e dichiarato eleggibile Ahmad Shafiq, l’ultimo premier di Hosni Mubarak, alle presidenziali di sabato e domenica prossima.
Il palazzo che ospita l’Alta Corte è incartato nel filo spinato e i blindati dell’esercito tengono a distanza la folla. Urla. Maledizioni. Un vecchio agita verso gli impassibili soldati le scarpe e mostra la suola dove ha incollato la foto di Shafiq e di Mubarak, il massimo segno di disprezzo per un arabo. Ma nessun tentativo di forzare il blocco, nessuna violenza. Perché lo schieramento in divisa è impressionante e perché la Fratellanza Musulmana ha dato ordini chiari: nessun incidente deve turbare questi giorni che precedono le elezioni. La Confraternita e il suo candidato Mohammed Morsi pensano di avere la vittoria in tasca, annunciano che riconosceranno solo il voto che porterà questo ingegnere, senza nessuna esperienza né parlamentare né di governo, alla guida del più popoloso e influente Paese del Medio Oriente. Non mancano le voci che nella dirigenza della Fratellanza denunciano la decisione della Corte come «un golpe strisciante» e passeranno cinque lunghe ore — con il Politbjuro islamista riunito per decidere come reagire alle due sentenze che rimescolano completamente le carte — prima che Mohammed Morsi annunci in serata che «le decisioni della Corte vanno rispettate» e confermando la sua candidatura al voto che si apre tra meno di 24 ore. Ma il potere di fatto è tornato nelle mani della Giunta militare.
È stato certamente un boccone amaro da deglutire per Morsi lo scioglimento del Parlamento, per vizio di alcuni articoli della legge elettorale, dominato dal suo Partito e dai salafiti di “Al Nour”. Certo la Camera in questi mesi non ha dato una grande prova di sé, per l’inconsistenza del dibattito politico, per l’insensatezza delle proposte di legge, incapace di designare una Assemblea Costituente, mentre l’Egitto continuava a scivolare in una transizione post-Mubarak segnata più volte dal sangue, dalla violenza, dalle stragi.
La seconda sentenza ha scaldato gli animi degli islamisti anche più della prima. La Corte ha giudicato illegittimo il provvedimento che escludeva dalla vita politica gli esponenti dell’ex regime, come appunto Ahmed Shafiq, che nel ballottaggio di domani e domenica sfiderà Mohammed Morsi. Dopo la sentenza la corsa presidenziale di Shafiq è senza ostacoli, le intenzioni di voto lo danno in crescita costante. La Fratellanza con le proposte sulla sharia, il ruolo preminente della religione nella società, ha allarmato molti musulmani
moderati, i laici e la minoranza cristiana, vede i suoi consensi scendere.
Poco dopo l’annuncio della Corte in una conferenza stampa fra sostenitori entusiasti, che si è aperta sulle note dell’inno egiziano Shafiq commentava: «È una giornata storica, perché è storica la sentenza della Corte Costituzionale che chiude l’era della resa dei conti ». Una sua possibile vittoria alle elezioni presidenziali sarebbe stata inconcepibile appena un anno fa con quel fervore anti-regime che animava l’Egitto. È stato l’ultimo primo
ministro del Faraone, investito quando ormai la rivolta divampava e licenziato dalla Giunta militare solo due settimane più tardi. Ma l’ex comandante dell’Aviazione e amico personale di Mubarak, sta raccogliendo ampi consensi. Ha fatto una campagna elettorale apertamente come candidato anti-rivoluzione, puntando sulla sicurezza e stabilità, cercando i voti di quegli egiziani esasperati dai continui disordini e dalla disastrosa situazione economica in cui versa l’Egitto dopo la sua “Primavera” e spaventati dalle proposte
islamiste.
Sospesi tra lo spettro di un passato che potrebbe tornare e un salto nel vuoto verso l’islamizzazione, oltre cinquanta milioni di egiziani sono chiamati alle urne da domani in un clima «da film di Bollywood», dice Raghed Mohammed, leader del Movimento 6 aprile, che ha svolto un ruolo preminente durante la rivoluzione di gennaio. Il primo turno è stato dominato dall’astensione e poco meno di 13 milioni hanno espresso voti validi. Il risultato premiò Morsi con il 25 per cento seguito a ruota da Shafiq con il 24; il 22 andò a un candidato della sinistra, il nasseriano Hamdeen Sabbahi, il 18 a un ex Fratello Musulmano, islamico moderato, Abdel Aboul Fotouh, e l’11 per cento ad Amr Mussa, al quale sondaggi risultati inattendibili attribuivano una concreta possibilità di vittoria. Per il secondo turno resta l’incognita se l’astensionismo, che la commissione elettorale ha rilevato a poco meno del 60 per cento nel primo, terrà ancora lontano dalle urne molta parte del popolo egiziano o se gli avvenimenti delle ultime ore indurranno una partecipazione più sostenuta. A favore di questa seconda possibilità potrebbero contribuire tanto un maggior impegno nel raccogliere voti per Morsi da parte della potente confraternita dei Fratelli Musulmani, quanto un risvegliato interesse di tutti coloro che rifiutano la prospettiva di uno Stato guidato da un presidente dalla forte caratterizzazione islamica, e per scongiurare questo sono pronti a votare per l’ex premier di Mubarak.
Dello “spirito” di Piazza Tahrir è rimasto ben poco. Ieri sera poche centinaia di manifestanti si sono riversati nel luogo simbolo della rivoluzione per protestare contro le sentenze. La gente è arrivata in piazza alla rinfusa, senza che ci fosse una convocazione da parte dei gruppi di attivisti, mandando in tilt l’intera zona, tra ingorghi e lunghe file di auto. La piccola folla ha lanciato soprattutto slogan religiosi. Non c’era il popolo di Facebook, non c’erano i ragazzi delle università, gli avvocati e gli ingegneri, i medici e le donne, che hanno animato per mesi la Piazza con la loro presenza, con le loro speranze, dandole un’anima che adesso non c’è più. «L’egoismo dei partiti e delle Confraternite ci ha fatto perdere la rivoluzione», dice scura in volto Sally Torna, leader della Coalizione dei giovani rivoluzionari, «e adesso hanno perso anche loro».