Ettore Livini, la Repubblicai 15/6/2012, 15 giugno 2012
GRECIA AL REFERENDUM FINALE
ATENE-«DOMENICA cambieremo la Grecia ». Dimitris Tsakantonis, capelli lunghi e barba rada da Nazareno, ha tutta la certezza dei suoi vent’anni. Tra due giorni, un mese dopo la sua prima
volta, tornerà a votare.
E, sull’esito delle elezioni, lui non ha dubbi: «Qui tutti vogliono cambiare. E per cambiare c’è un solo modo: votare Syriza», dice sventolando alla luce del tramonto la bandiera bianca della sinistra radicale ellenica sotto il palco di Omonoia dove Alexis Tsipras, il 38enne leader del partito anti-austerity che tiene con il fiato sospeso tutta l’Europa, sta per chiudere la sua campagna elettorale.
Atene, dopo tre anni da brividi in cui il Pil è crollato del 20% e la disoccupazione è volata al 22%, è arrivata al bivio finale: da una parte l’euro e lo zuccherino di 240 miliardi di aiuti targati Ue-Bce e Fmi. Assieme – conditio sine qua non – al calice amaro di un’austerity da brividi. Dall’altra la catarsi: il “no” ai paletti della Trojka con il rischio del ritorno alla dracma. Sommati, come temono da Bruxelles, a un effetto domino che rischia di travolgere tutto il Vecchio continente, trascinando nel baratro i paesi più deboli, Spagna e Italia in testa.
«Questo è un referendum», urla Dimitris in mezzo a tanti giovanissimi mentre “O bella ciao” in versione Modena City Ramblers rimbomba dagli altoparlanti in tutta la piazza. E’ vero. Il nuovo voto ad Atene è una sfida a due. «Da una parte il sì al memorandum che ci ha messo in ginocchio, dall’altra il nostro piano di rinascita nazionale», tuona dal palco, camicia bianca e niente cravatta (come tradizione) Tsipras. Da una parte lui, il volto nuovo della politica nazionale, «un abile demagogo come il vecchio Andreas Papandreou», ammette lo scrittore Nikos Dimou. Dall’altra, nelle improbabili vesti di principe azzurro della Ue, il “vecchio” (in senso politico) Antonis Samaras, leader del centrodestra di Nea Demokratia che contenderà a Syriza la vittoria alle elezioni. Primo punto del suo programma: la permanenza del paese nell’euro. E ieri un sondaggio segreto lo dava addirittura
in vantaggio (29% contro il 26% di Syriza), tanto che la Borsa di Atene ha brindato con un balzo del 12% La posta in gioco al voto di domenica, come ci ricordano i
mercati ogni giorno, è altissima. E la vera partita comincerà lunedì, quando una Grecia abituata per 37 anni all’alternanza tra i socialisti del Pasok e Nd dovrà provare a formare un governo di coalizione. Un pezzo del copione è già scritto: se vince il centrodestra, Bruxelles tirerà un sospiro di sollievo. Ma sarà costretta in ogni caso a fare qualche concessione ad Atene visto che anche i partiti pro-euro chiedono in un modo o nell’altro un ammorbidimento delle condizioni del salvataggio imposto dalla Trojka. «Dobbiamo rivedere tempi e modi», ha promesso ai suoi elettori Samaras. «Servono uno o due anni in più per fra quadrare i conti», sostiene il leader del Pasok Evangelis Venizelos che potrebbe essere l’ago della bilancia post-elettorale garantendo sostegno a un governo di salvezza nazionale.
Se a vincere sarà Tsipras e riuscirà pure a mettere assieme una maggioranza di sinistra «sarà tutta un’altra musica», garantisce Yorgos Mitsosakis sotto il palco del leader di Syriza. «Ricostruire la Grecia, cambiare l’Europa », recita lo slogan sullo sfondo
del palco, in un campo azzuro che fa tanto Forza Italia. Come? A spiegarlo è senza troppi giri di parole il programma del partito: «Il memorandum è carta straccia», ripete come un mantra il giovane leader dal palco. Atene smetterà di pagare gli interessi sul debito fino a un’intesa con i governi della Ue. Le banche verranno nazionalizzate, il salario minimo sarà rialzato del 22%, i contratti nazionali di lavoro – cancellati dalla Trojka – verranno ripristinati d’ufficio e i 150mila tagli nel settore pubblico imposti da Ue, Bce e Fmi saranno sostituiti da nuove assunzioni per rafforzare la macchina dello Stato. Sperando che la Ue, pur di non far crollare tutta l’architettura dell’euro, accetti di venire a patti con il nuovo governo senza chiudere il rubinetto degli aiuti.
«Non è un programma credibile – grida urbi et orbi da giorni Samaras -. E’ un libro dei sogni che costa 45 miliardi a un paese che di soldi non ne ha». Peccato per lui che un bel pezzo di Grecia, stanco dei vecchi partiti che l’hanno ridotta in queste condizioni (Nd compresa) abbia voglia
di sognare senza pensare troppo ai costi. Dimenticando che senza il salvagente della Trojka, la Grecia dal 20 luglio non avrà più soldi per pagare pensioni e stipendi statali.
La realtà a dire il vero ha già iniziato a presentare il suo conto. Depa, la multitutility nazionale del gas e Den, quella elettrica, non hanno più quattrini in cassa. Le famiglie in crisi (i redditi dei dipendenti pubblici sono calati del 25%) non pagano le bollette e le forniture di idrocarburi – la maggior parte arrivano dalla Russia via Gazprom – vanno pagate. Morale: l’autorithy dell’energia è stata costretta a convocare una riunione d’emergenza per evitare che la crisi di liquidità delle sue grandi aziende finisca per lasciare la Grecia al buio.
Il Titanic ellenico naviga insomma in acque agitate verso un voto dall’esito incertissimo. E con i sondaggi off limits da una settimana, ognuno fa campagna elettorale a modo suo. I nazional- socialisti di Chrysy Avgi, ad esempio, stanno provando a combattere il previsto calo di consensi (dovrebbero scendere dal 6,95% al 4% circa) riaprendo nel loro stile la questione immigrazione. «Nessuno di noi si fida più a viaggiare da solo in metro nelle fermate tra Omonia e Kato Patissia», dice Ahmed, 22enne ex muratore rrivato due anni fa dal Pakistan. Tre fermate dove in poche settimane diversi clandestini sono stati attaccati e malmenati da misteriose – ma non troppo – squadracce di presunti giustizieri metropolitani di ultra destra.
Sia Samaras che Tsipras, per fortuna, hanno escluso alleanze con i neonazisti di Alba d’Oro. «Riusciremo a fare un governo da soli», assicura sorridendo Dimitris, ripiegando la sua bandiera mentre le canzoni di Patty Smith e del Boss Springsteen assieme all’intramontabile “El Pueblo Unido” - chiudono il comizio finale di Syriza. Domani toccherà a Samaras, che come inno per galvanizzare gli elettori ha scelto la colonna sonora de “I pirati dei caraibi”. L’Europa spera che la sfida finale della tragedia greca non finisca con il suo funerale. Magari sulle austere note mitteleuropee del Requiem di
Mozart.