Tina Hesman Saey, Science News, Usa, Internazionale 21/6/2012, 21 giugno 2012
IMPARARE DEL LETARGO
Il 2 febbraio 2012 la marmotta meteorologa Punxsutawney Phil si è svegliata dal letargo per annunciare altre sei settimane d’inverno.
Gli scienziati possono anche sorridere di chi crede che un roditore peloso sia in grado di prevedere l’arrivo della primavera, ma il discorso è diverso quando si tratta di imparare qualcosa sulla salute umana dagli animali che d’inverno vanno a dormire. Capire come gli ibernanti, tra cui gli scoiattoli di terra, gli orsi e le marmotte, riescano a sopravvivere al loro lungo sonno invernale potrebbe aiutarci a trovare delle soluzioni per problemi come le malattie cardiovascolari, l’osteoporosi e la distroia muscolare.
Nonostante le apparenze, andare in letargo non signiica addormentarsi per un lungo periodo. È una forma di vita estrema sotto tutti gli aspetti: per circa metà dell’anno gli animali ibernanti restano nella tana in uno stato d’animazione sospesa e si svegliano solo di tanto in tanto per i bisogni fisiologici.
La maggior parte di loro non mangia né beve, ma vive esclusivamente del grasso corporeo accumulato prima dell’inizio dell’inverno.
Per far durare queste riserve di grasso, gli animali rallentano il metabolismo e abbassano la temperatura corporea. Negli orsi neri americani la temperatura scende a circa 33 gradi, ma il corpo della maggioranza dei piccoli mammiferi ibernanti, come gli scoiattoli di terra e le marmotte americane, arriva quasi a ghiacciare (alcuni scoiattoli di terra artici mantengono costantemente la temperatura sotto lo zero). In tutti questi animali il battito cardiaco e la respirazione s’interrompono quasi completamente.
Sono condizioni fisiologiche nelle quali gli animali non ibernanti, esseri umani compresi, non potrebbero mai sopravvivere.
Eppure a volte noi dobbiamo affrontare situazioni simili a quelle degli ibernanti, anche se meno estreme: dopo un aumento di peso, per esempio, oppure in seguito a un periodo di immobilità o a un’emorragia.
Molti scienziati pensano che alcuni espedienti degli ibernanti potrebbero essere preziosi per la medicina umana.
L’orso bruno scandinavo Cercare di curare le malattie degli esseri umani con l’aiuto degli animali non è una novità. Spesso i ricercatori riproducono alcune patologie, come la distrofia muscolare o l’ictus, nei topi o in altri animali di laboratorio, per capire cosa va storto. Ma anche quando gli scienziati sanno bene cosa non funziona, il rimedio non è sempre a portata di mano. Gli ibernanti, invece, hanno già trovato diversi modi per afrontare cambiamenti delle condizioni corporee e dello stile di vita che negli esseri umani provocherebbero gravi malattie.
Nel tentativo di scoprire i segreti degli ibernanti, Ole Fröbert, un cardiologo del policlinico universitario di Örebro, in Svezia, studia insieme ai suoi colleghi le trasformazioni isiche degli orsi bruni scandinavi in inverno. Cercano di capire, per esempio, come possano avere un colesterolo altissimo senza correre un maggior rischio di cardiopatie. “L’orso bruno è una vera miniera di informazioni”, dice Fröbert.
“È un animale che ha risolto una serie di problemi con cui gli esseri umani continuano a scontrarsi”.
Le osservazioni fatte su orsi e scoiattoli di terra possono aiutare i ricercatori a prevenire o a far regredire la perdita di massa ossea e muscolare nei viaggiatori spaziali, negli anziani e nei bambini afetti da distroia muscolare. Queste conoscenze potrebbero anche rivelare come scongiurare trombosi, piaghe da decubito e atroia muscolare e ossea nelle persone costrette a letto. Le terapie che riproducono le strategie di ibernazione degli scoiattoli di terra potrebbero salvare i soldati e le vittime di incidenti da emorragie mortali. Questi animali forse conoscono anche il segreto per ridurre gli efetti di un ictus o di un infarto, e perino quello per preservare gli organi destinati al trapianto una volta espiantati e messi nel ghiaccio.
Quando va in ibernazione, il corpo di un animale si trasforma, e i preparativi cominciano con settimane o addirittura mesi di anticipo. Il primo imperativo è ingrassare.
“Il grasso è il vero obiettivo di un ibernante.
Deve portarsi dietro il pranzo”, dice Matthew Andrews, un biologo molecolare dell’università del Minnesota a Duluth.
Avere una scorta alimentare è essenziale, perché durante l’inverno gli animali seguono la dieta più rigida del mondo e sopravvivono consumando solo il loro grasso bianco.
“L’ultimo pasto è a ottobre e poi non mangiano ino a marzo”, spiega Andrews.
Disporre di maggiori riserve di grasso signiica avere più possibilità di sopravvivere ino alla primavera. “Se quando si addormentano sono pafuti e tondetti, saranno degli ottimi ibernanti”, conclude il ricercatore.
Quaranta chili di mirtilli Anche il girovita degli orsi si allarga prima del letargo. Gli orsi bruni studiati da Fröbert prendono peso divorando ino a quaranta chili di mirtilli al giorno. Tanta ghiottoneria potrebbe avere conseguenze gravissime per gli esseri umani, visto che l’obesità è associata a varie patologie e in particolare a un rischio più elevato di malattie cardiovascolari e diabete.
Per capire gli efetti dell’ingrassamento sugli orsi scandinavi, Fröbert e i suoi colleselvaggia della Svezia, seguendo i segnali emessi dalle radiotrasmittenti e dai dispositivi Gps applicati a un numero ristretto di esemplari.
È pericoloso avvicinare gli orsi, perché riescono a entrare rapidamente in azione perino durante il letargo.
Per questo i ricercatori sparano dei tranquillanti per calmarli (gli scienziati che studiano gli orsi d’estate li addormentano sparando i tranquillanti da un elicottero).
Quando l’orso è sotto l’efetto del calmante (basta aspettare cinque minuti), i ricercatori hanno al massimo un’ora di tempo per tirare fuori l’animale dalla tana, pesarlo, misurarlo, prelevare provette di sangue e fare piccoli interventi per raccogliere campioni di grasso e di altri tessuti. L’orso deve essere rimesso nella tana entro il sessantunesimo minuto.
I preziosi materiali ottenuti durante questo frenetico incontro devono essere analizzati entro 24 ore. Spesso i ricercatori controllano i livelli di colesterolo o la presenza di determinate proteine nel sangue, lavorando nella neve o in una vicina stazione di ricerca. Per rispettare i tempi, spiega Fröbert, a volte un pilota trasporta i campioni ino a un laboratorio in Danimarca. I campioni di ossa e arterie che non possono essere prelevati da animali vivi provengono dagli orsi uccisi durante la stagione della caccia.
Stando a quanto Fröbert e i suoi colleghi hanno pubblicato online il 10 gennaio 2012 sul sito della rivista Clinical and Translation al Science, le ultime analisi dimostrano che gli orsi scandinavi passano l’estate con livelli di colesterolo alti per gli esseri umani e che in seguito quei valori aumentano sensibilmente con l’ibernazione.
Questi orsi “davvero molto grassi” e con il colesterolo altissimo non fanno nessun tipo di attività isica durante il letargo. Starsene sdraiati nella tana fa restringere i vasi sanguigni, e questo contribuisce a rallentare la circolazione. “Un cocktail che non sarebbe certo consigliabile a un essere umano”, dice Fröbert. Questa è la ricetta dell’aterosclerosi, che comporta il rischio di ictus e infarto.
Perino le arterie di esseri umani giovani e sani possono sviluppare strie lipidiche che rendono meno lessibili i vasi sanguigni, ma gli orsi sono completamente privi di placche.
“I nostri orsi non hanno niente”, dice Fröbert. Non è ancora chiaro come riescano a mantenere lessibili le loro arterie, ma lo scienziato svedese spera di riuscire a trovare qualche molecola protettiva in grado di scongiurare l’aterosclerosi anche negli esseri umani. Le arterie a prova di colesterolo rolo degli orsi sono solo uno degli espedienti evolutivi che permettono agli ibernanti di passare sei mesi immobili come pelosi pantofolai senza subire efetti collaterali negativi.
L’inattività provoca gravi sconvolgimenti nel corpo umano, che non riesce a mantenere muscoli e ossa forti senza esercizio isico. Con l’invecchiamento, di solito, il tessuto osseo diminuisce: dopo la menopausa, la colonna vertebrale e il femore delle donne perdono l’1-2 per cento di minerali ossei ogni anno. Ma le persone costrette a letto o a stare in assenza di gravità perdono ogni mese ino al 3-4 per cento dei minerali ossei del femore, dice l’endocrinologo Peter Vestergaard, del policlinico universitario di Aarhus, in Danimarca. I sedentari rischiano anche trombosi e piaghe da decubito.
Dopo il letargo, invece, gli ibernanti si svegliano senza emboli e senza piaghe, con ossa e muscoli intatti.
Rita Serger e i suoi colleghi del Maine department of inland isheries and wildlife si avventurano nelle zone boschive più selvagge del Maine per scoprire come lo scheletro degli orsi neri americani riesca a restare sano durante il letargo. Grazie ai collari radio applicati agli orsi durante la primavera, seguono gli animali fino alla tana. Normalmente l’attrezzatura necessaria per il viaggio prevede una centrifuga portatile e un apparecchio per raggi X alimentato dalla batteria di un trapano. Le lastre delle zampe degli orsi ibernanti sono state confrontate con quelle degli orsi uccisi dai cacciatori, e non sono emerse diferenze.
Questo fa supporre che il letargo non consumi le ossa come succede agli esseri umani immobilizzati a letto. Seger e i suoi colleghi hanno anche confrontato i campioni di sangue degli orsi ibernanti con quelli prelevati dagli animali quando erano attivi, cercando indizi chimici che permettano di capire come riescano a proteggere il loro scheletro.
Seger, medico internista e fisiologa dell’università del Maine a Orono, ha trovato nel sangue degli orsi delle proteine che mostrano come le cellule preposte alla costruzione delle ossa siano meno attive d’inverno che in primavera. A dicembre Seger ha pubblicato i risultati sulla rivista specializzata Bone. Anche le persone costrette a letto sintetizzano meno tessuto osseo del normale, e per di più le loro ossa si consumano con maggiore rapidità, provocando una perdita sensibile. Gli orsi neri, invece, compensano il rallentamento nella costruzione con una riduzione della perdita di massa ossea, spiegano i ricercatori, e lo scheletro resta forte.
Parte della capacità compensatoria degli orsi potrebbe essere riprodotta. L’ormone paratiroideo dell’orso nero, che contribuisce a determinare quanto tessuto osseo viene costruito o riassorbito, è già studiato come possibile trattamento per l’osteoporosi umana, dice Seth Donahue, ingegnere biomedico dell’università di stato del Colorado a Ft. Collins. Donahue attualmente lavora con un’azienda di biotecnologia per testare sui ratti la capacità dell’ormone di proteggere le ossa. Quando i ricercatori asportano le ovaie alle femmine di ratti per simulare la menopausa, le loro ossa diventano porose. Ma secondo studi preliminari, i ratti trattati con l’ormone paratiroideo degli orsi conservano più tessuto osseo.
Gli orsi potrebbero anche conoscere il segreto per scongiurare i trombi, come quelli che si formano quando restiamo fermi troppo a lungo durante un viaggio aereo, dice Fröbert. Lui e i suoi colleghi hanno misurato l’attività trombogena di cellule dette trombociti, o piastrine, negli esseri umani e negli orsi bruni poco dopo la ine del letargo. L’attività delle piastrine degli orsi era circa la metà di quella dei trombociti umani, hanno riferito i ricercatori in un numero della rivista Thrombosis Journal uscito nel 2010. L’équipe di Fröbert sta cercando di scoprire perché le cellule degli orsi abbiano minore potere trombogeno e perché questa proprietà cambi durante l’ibernazione.
Il citello 13 strisce Gli orsi potrebbero darci molte informazioni utili, ma sono animali con cui è diicile lavorare. Per questo alcuni scienziati hanno ripiegato sul citello 13 strisce, uno scoiattolo di terra di una ventina di centimetri che può essere studiato in laboratorio. Questo animale grande quanto un ratto può insegnarci una buona strategia per afrontare un altro problema vascolare: le emorragie massicce.
Durante la mia visita al laboratorio di Ronald Cohn, alla Johns Hopkins university medical school, all’inizio di dicembre, quasi tutti i citelli dormivano raggomitolati su se stessi, con il muso sepolto nella pelliccia color crema del ventre. Il corpo si sollevava e poi si contraeva di nuovo a ogni respiro, a intervalli di circa venti secondi. Quando questi citelli vanno a svernare in frigorifero, entrano in uno stato di torpore completo che coincide con l’ibernazione profonda. In un minuto gli animali fanno da due a quattro respiri e anche il loro cuore batte solo da due a quattro volte, spiega Cohn. “La teoria voleva che gli ibernanti fossero perfettamente adattati al freddo”, dice Sandra Martin, genetista evolutiva alla School of medicine dell’università del Colorado ad Aurora.
“Noi non siamo d’accordo. I nostri risultati suggeriscono che sono perfettamente adattati a spegnere tutto quando è freddo. Sembra quasi che l’animale s’inili in un secchio pieno di ghiaccio, rallentando tutto per risparmiare energia”.
Ma ogni due settimane gli ibernanti fanno qualcosa che dal punto di vista energetico non ha molto senso: si riscaldano e si muovono un po’. “Quando fa freddo è dispendioso raggiungere alte temperature”, dice Hannah Carey, una isiologa della Madison school of veterinary medicine all’università del Wisconsin. Quando si svegliano e si alzano, per 10-12 ore nel caso di uno scoiattolo di terra, gli animali urinano e si muovono, ma di solito non mangiano e non bevono niente. Gli orsi passano l’intero inverno senza espellere niente, anche se di tanto in tanto fanno qualche movimento.
I citelli 13 strisce ibernati nel frigorifero di Cohn passano dal sonno alla veglia nel giro di pochi minuti. “Diventano attivi come questo campione”, dice Cohn battendo un dito guantato sulla gabbia di un citello dagli occhi vivaci che si precipita a cercare riparo. Ma poco dopo vedo l’animale tornare sibilando con curiosità vicino a Cohn e ai suoi colleghi. Dopo qualche ora, l’animale tornerà a raggomitolarsi e a sprofondare nel torpore senza curarsi di Cohn, che sta cercando di capire come possa conservare i muscoli durante l’ibernazione.
Il ciclo sonno-veglia degli scoiattoli di terra provoca la perdita e il ripristino del lusso sanguigno in varie parti del corpo, una situazione che gli esseri umani devono afrontare solo quando qualcosa va terribilmente storto. Negli esseri umani i trombi, gli infarti, gli ictus, gli incidenti o perino un lungo periodo di immobilità possono impedire l’alusso di sangue alle cellule che ne hanno bisogno. La mancanza di ossigeno provocata dal minore apporto sanguigno può danneggiare organi e tessuti. Ma anche ripristinare il lusso di sangue comporta dei problemi, spiega Carey. L’alusso di sangue ricco di ossigeno fa impazzire delle piccole centrali energetiche, i mitocondri, che cominciano a sfornare energia molecolare per le cellule in cui risiedono. I sottoprodotti delle reazioni che producono energia – molecole dette ossidanti o radicali dell’ossigeno – possono danneggiare le proteine, il dna e i grassi che compongono le cellule. Se i danni sono gravi, queste cellule muoiono, contribuendo a deteriorare il tessuto o a causare l’insuicienza d’organo.
Gli scoiattoli di terra sono esposti a questo tipo di danni durante l’estate, ma quando arriva l’inverno diventano insensibili agli efetti della mancanza di ossigeno e al ripristino dell’apporto sanguigno. Per scoprire come riescano a gestire questo continuo rafreddamento e riscaldamento, Andrews e i suoi colleghi dell’università del Minnesota hanno messo a confronto l’attività genica dei citelli in estate e in inverno, durante il torpore completo e gli sprazzi di attività. L’équipe ha scoperto che quando la temperatura scende, gli scoiattoli alimentano gli organi con prodotti derivanti dalla degradazione del grasso, non con il glucosio, come avviene durante l’estate. Durante i brevi episodi di attività, i livelli di melatonina nel sangue degli scoiattoli aumentano rapidamente. La melatonina è nota soprattutto per essere un ormone che contribuisce a regolare i ritmi quotidiani del corpo, ma è anche un potente antiossidante: proprio quello di cui hanno bisogno gli scoiattoli per combattere i danni causati dai radicali dell’ossigeno quando il loro sangue riprende a circolare.
Un cocktail a base di prodotti della degradazione dei grassi (detti corpi chetonici) e melatonina potrebbe aiutare le persone che hanno un’emorragia, come i soldati feriti in battaglia o le vittime di incidenti, a sopravvivere ino a quando possono ricevere una trasfusione, spiega Andrews. E così la sua équipe ha testato nei ratti soluzioni concentrate di questo cocktail. Senza trattamento, i ratti che perdevano il 60 per cento di sangue morivano nel giro di un’ora. Ma il cocktail ha esteso la sopravvivenza a oltre tre ore, hanno scritto Andrews e i suoi colleghi sulla rivista Shock nel 2010. La terapia attualmente è testata sui maiali e potrebbe presto entrare nella fase di sperimentazione sugli esseri umani. Se il cock tail riuscirà a salvare vite umane, gli scoiattoli di terra e la forza dell’evoluzione che li ha dotati della capacità di sopravvivere in condizioni estreme conquisteranno la gloria. “Continuo a ripetere a tutti che il merito è della biologia degli ibernanti”, dice Andrews.
“Da soli non saremmo mai arrivati a questa combinazione”.
Ulteriori ricerche sulle tecniche degli ibernanti per superare l’inverno potrebbero ofrire altre soluzioni terapeutiche per gli esseri umani. Anche se non andiamo in letargo, forse disponiamo dell’attrezzatura molecolare per mettere a segno qualche piccola impresa ispirata agli ibernanti che potrebbe migliorare la nostra salute nei periodi diicili. “Penso che l’hardware ci sia quasi tutto”, dice Martin. “Bisogna solo imparare a usarlo”.