Stephan Faris, Bloomberg Businessweek, Internazionale21/6/2012, 21 giugno 2012
ALLA CONQUISTA DI ATENE
La sede del partito greco che minaccia di far saltare l’economia europea si trova in un quartiere degradato nel centro di Atene. Non lontano, una mensa organizzata dal comune sfama i poveri sempre più numerosi.
Dietro l’angolo un’associazione benefica di assistenza medica si prende cura degli immigrati clandestini e di chi è rimasto senza copertura sanitaria. Nella sede del partito l’arredamento è modesto. Le lampade al neon illuminano i consunti pavimenti di linoleum. L’unica stanza tinteggiata di fresco è l’uicio del leader, Alexis Tsipras, 37 anni, l’uomo che nella campagna elettorale per le ultime elezioni ha chiesto di ridiscutere gli accordi sul piano di salvataggio di Atene. “Spesso arrivano le troupe della tv”, spiega tra una sigaretta e l’altra Maria Kalyviotou, una militante che si occupa dei rapporti con i mezzi d’informazione.
“Ecco perché abbiamo ridipinto la stanza”.
Le posizioni del partito sono chiarissime già dal nome: Syriza, coalizione della sinistra radicale. Fuori dall’uicio di Tsipras è appesa una foto della folla che festeggia la rivoluzione cubana del 1959. Dappertutto ci sono falce e martello. Per vent’anni i partiti della sinistra radicale greca non hanno quasi mai superato il 5 per cento alle elezioni nazionali. Poi è arrivato il voto del 6 maggio, e il partito di Tsipras ha compiuto uno dei più incredibili exploit della storia recente della Grecia. Cavalcando l’ostilità al programma di austerità, che la maggioranza del paese considera un’imposizione dei governi stranieri, Syriza ha conquistato il 17 per cento dei voti, diventando il secondo partito del paese, a due punti di distanza da Nuova democrazia, il principale partito di centrodestra. Dopo una settimana di trattative Tsipras si è riiutato di formare un governo con gli altri partiti: non era d’accordo sulla necessità di rispettare gli obblighi del programma di riforme irmato con la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea.
Da allora la popolarità di Syriza è cresciuta ancora di più, e alle elezioni del 17 giugno tutti prevedono un testa a testa con Nuova democrazia. Secondo alcuni sondaggi Syriza potrebbe addirittura superare la soglia del 30 per cento. Se così fosse Tsipras potrebbe diventare il nuovo primo ministro. È come se i manifestanti di Occupy Wall street improvvisamente avessero la possibilità di conquistare non solo il congresso degli Stati Uniti, ma anche la Casa Bianca.
L’ombra della dracma Tsipras ha detto agli elettori che non ha intenzione di tornare alla dracma. Ma è convinto anche che per restare nell’euro non siano necessari i pesanti tagli alla spesa pubblica che negli ultimi due anni i leader greci hanno accettato in cambio degli aiuti internazionali. La tesi di Tsipras e del suo partito è che la più grande minaccia alla permanenza di Atene nell’eurozona sono proprio le misure di austerità previste dal cosiddetto “memorandum”, come tutti in Grecia chiamano l’accordo con la troika (Bce, Fmi e Commissione europea). Secondo Tsipras l’austerità ha affossato l’economia e ha portato la Grecia sulla soglia dell’insolvenza e del fallimento, aumentando il pericolo di una catastrofe inanziaria estesa a tutta la periferia del continente.
La linea di Syriza riflette la frustrazione dell’opinione pubblica greca nei confronti dell’Europa. L’obiettivo è spingere la Germania, la maggiore economia dell’eurozona, a dare il via libera all’emissione di eurobond garantiti a livello comunitario per scongiurare il rischio di implosione della moneta unica.
Il successo di un partito storicamente marginale come Syriza è dovuto in gran parte all’intelligenza e alla determinazione del suo giovane leader. Entrato in politica quando era ancora un adolescente, Tsipras conosce bene l’elettorato greco e sa orientare le emozioni della massa come un vero tribuno. “Non è un grande teorico né un grande intellettuale e non ha particolari capacità analitiche”, osserva Haris Konstantatos, un militante che lo conosce dai tempi dell’università. “Ma sa come partire da un ragionamento complesso e trasformarlo in un messaggio politico coerente”. Il 13 maggio, quando è stato chiaro che non sarebbe stato possibile formare un governo, Syriza ha riunito il comitato centrale del partito (composto da 120 persone) nella sala da ballo di un albergo non lontano dalla sua sede. Dal giorno delle elezioni, negli uici del partito non si fa che pianiicare strategie e organizzare incontri con giornali e tv.
“Stiamo cercando di trasformare i nostri valori politici fondamentali in proposte concrete”, spiega Yiannis Bournos, che fa parte del comitato centrale. Invece di limitarsi a ripetere slogan sulla “riforma democratica del isco”, i dirigenti del partito stanno cercando di capire concretamente come tassare i redditi più alti. “È un lavoro più complicato di quanto ci aspettassimo”, ammette Vassilis Primikiris, un altro membro del comitato.
Pochi delegati indossano un completo o la cravatta. Il catering consiste in torte fatte in casa e una carafa di cafè poggiata su un tavolino vicino alla porta. Tsipras arriva con più di un’ora di ritardo, facendosi largo tra i giornalisti e accompagnato da un paio di assistenti. Mentre raggiunge il fondo della stanza saluta i sostenitori con due baci sulle guance. Quando parla, quasi si protende verso il pubblico con un sorriso; quando i suoi interlocutori gli rispondono, contorce le labbra in una smoria di concentrazione.
Dal suo discorso è chiaro che si considera un candidato estraneo all’establishment, ma anche che sa di essere il favorito. “I nostri avversari hanno cercato di metterci ai margini del sistema politico”, spiega Tsipras. “Ma gli elettori hanno scelto di portarci al centro”. Calibra con attenzione il ritmo delle parole. “Stanno provando a far passare l’idea che le elezioni saranno un referendum sull’euro. Anche secondo noi saranno un referendum, ma sul memorandum”, dice, riferendosi agli accordi sul debito.
Alza la voce solo raramente. Ma quando lo fa lascia trasparire tutte le sue ambizioni.
“Chiediamo al popolo un mandato chiaro per sovvertire questa politica dell’infelicità.
Il nostro obiettivo è una vittoria netta”.
Ideologia e realismo Tsipras fa politica da quando aveva 15 anni.
Si è iscritto all’associazione giovanile del Partito comunista greco (Kke) alla ine degli anni ottanta, su consiglio di alcuni studenti più grandi che lo avevano sentito parlare durante un’assemblea scolastica e avevano riconosciuto il suo talento. “I politici greci urlano e strepitano, ma Tsipras non è mai stato così”, ricorda Panos Papache dopoulos, uno dei suoi scopritori. “È sempre stato pacato, attento a esprimere il suo punto di vista senza eccessi”. Nel 1991, quando gli studenti ateniesi sono scesi in piazza per protestare contro la riforma dell’istruzione, occupando le scuole della città per settimane, Tsipras è subito diventato uno dei leader del movimento. In quel periodo ha fatto parte del comitato incaricato di trattare con il ministro dell’istruzione.
“Quando si hanno 16 o 17 anni si preferisce lo scontro diretto”, dice un’altra persona che aveva fatto parte del comitato, Matthaios Tsimitakis. “Ma lui era realista, sapeva che la politica è anche l’arte del negoziato e della ricerca del miglior compromesso possibile”. È stato allora che Tsipras ha incontrato Betty Baziana, la donna a cui ancora oggi è legato. I due hanno un iglio e ne aspettano un altro per luglio.
Dopo il liceo Tsipras ha studiato ingegneria civile al Politecnico di Atene, all’epoca il centro della vita politica studentesca. I suoi colleghi di quegli anni lo descrivono come un abile oratore, più interessato alla tattica che all’ideologia. La vera svolta è arrivata però solo nel 2006, quando Alekos Alavanos, leader del partito Synaspismós e della coalizione Syriza, ha appoggiato la candidatura di Tsipras a sindaco di Atene: una scelta che doveva servire a raccogliere i voti dei ventenni greci. Giovane, dinamico, estraneo alla cerchia del potere e della corruzione, Tsipras segnava una rottura netta con il passato. Al grido di “rivoltiamo questa città dalla testa ai piedi”, ha conquistato il 15 per cento dei voti: un risultato senza precedenti per un candidato della sinistra radicale. Poi, dopo uno scontro interno al partito, nel 2008 è diventato leader di Syriza al posto di Alavanos.
I compromessi necessari Alcuni osservatori hanno descritto Syriza come il partito dei giovani, dei poveri e dei disoccupati. In un paese dove la disoccupazione è al 22 per cento queste categorie rappresentano un bacino di voti non trascurabile.
Ma l’elettorato potenziale del partito è ancora più ampio. Il risultato delle elezioni del 6 maggio, infatti, non esprime pienamente l’entità del voto di protesta. Circa il 19 per cento dei greci ha scelto piccoli partiti che non hanno superato lo sbarramento del 3 per cento, mentre il 35 per cento degli elettori non ha votato.
Secondo i sondaggi, i greci sono divisi tra due spinte apparentemente contraddittorie.
Due cittadini su tre sono contrari alle condizioni imposte per il salvataggio del paese, ma quasi l’80 per cento aferma di voler restare nell’euro. Durante la campagna elettorale per il voto del 6 giugno i due partiti principali, Nuova democrazia e i socialisti del Pasok, si sono legati le mani da soli. Non potendo prendere le distanze dagli accordi che loro stessi avevano sottoscritto, si sono ben guardati dal difenderli, limitandosi a dire che per rimanere nell’euro bisognava rispettarli. Syriza, al contrario, si è battuta per un allentamento dei vincoli, invocando trasferimenti iscali dalle economie più forti dell’Europa a quelle più deboli.
Il modello sono gli Stati Uniti, dove i fondi federali vanno automaticamente agli stati colpiti da calamità naturali o crisi economiche attraverso meccanismi come i buoni alimentari o gli assegni di disoccupazione.
“Non credo che un’unione monetaria possa funzionare senza una qualche forma di sussidio alle regioni più povere”, spiega Euclid Tsakalotos, parlamentare di Syriza ed economista all’università di Atene. Per curare la crisi greca, sostiene Tsakalotos, servirebbe una soluzione simile a quella sperimentata in Germania nel secondo dopoguerra: un Piano Marshall per rimettere in moto il sistema produttivo, la cancellazione di una parte del debito e un sistema di pagamenti che tenga conto delle difficoltà dell’economia. “Ci dicono che siamo responsabili per la situazione in cui ci troviamo”, dice Tsakalotos. “È vero, certo.
Ma non credo che nel 1953 la Germania potesse dire di non aver colpe”.
Gli elettori che condividono il messaggio di sida di Syriza sono sempre più numerosi, e non sono certo tutti simpatizzanti della sinistra radicale. Il venerdì dopo il voto del 6 maggio, quando ormai era chiaro che il paese sarebbe andato a nuove elezioni, un centinaio di elettori ha partecipato a un incontro in un centro anziani nel quartiere di Alimos, alla periferia di Atene. Tradizionalmente abitata da medici, ingegneri, imprenditori e pensionati benestanti, l’area è stata duramente colpita dalla crisi.
“Abbiamo perso quasi il 25 per cento dei clienti”, spiega il commercialista Stavros Papagiannopoulos. “Molti hanno smesso di lavorare. Altri non hanno i soldi per pagarci”.
Qui nel 2009 Syriza aveva preso circa mille voti. Il 6 maggio ne ha avuti 4.500.
Per rispettare le promesse fatte in campagna elettorale Tsipras dovrà navigare tra le secche della diplomazia europea, imparare a governare il paese, stare alla larga dalla corruzione e tenere insieme le diverse anime del partito. Anche i più ottimisti dubitano che Syriza riuscirà a farcela.
“Sono sempre stati un partito piccolo”, aferma Nikos Xydakis, editorialista di Kathimerini, il più importante quotidiano del paese.
“Forse è una missione troppo grande per loro”. Gerasimos Georgatos, responsabile delle politiche europee di Sinistra democratica, il partito nato nel 2010 da una scissone di Synaspismós (uno dei partiti che hanno dato vita a Syriza), sostiene che Tsipras e le persone del suo entourage sono storicamente più interessati a preservare la loro purezza ideologica che a fare i compromessi necessari per governare: “Nel loro intimo preferiscono stare all’opposizione.
È quello che sanno fare meglio”.
Non c’è dubbio che la tempistica degli ultimi avvenimenti abbia aiutato Tsipras. Il risultato del 6 maggio, infatti, è arrivato sulla scia del successo di François Hollande in Francia, il cui programma puntava alla revisione del patto iscale europeo, e più in generale sull’onda di una rinnovata attenzione verso la crescita come fattore essenziale per superare la crisi. Ma le richieste di Tsipras per rinegoziare il salvataggio greco, rivolte in particolare alla Germania, sembrano non tenere conto degli innegabili disastri dell’economia greca. Tsipras e i suoi sostenitori discutono molto dell’ineicienza del settore pubblico, ma allo stesso tempo vorrebbero espanderlo ancora. A sentire gli esperti di Syriza, il problema principale della Grecia è la mancanza di investimenti.
Si scagliano contro la burocrazia e la corruzione, ma non sanno come combatterle.
È presto per dire se la posizione di Tsipras sul memorandum sia la mossa di un abile negoziatore o se invece riletta convinzioni radicate. Sul piano interno, il leau der di Syriza ha rideinito i termini del dibattito sull’austerità: non sono i greci a dover scegliere tra lasciare l’Unione o piegarsi a tutte le sue richieste, sono i paesi dell’eurozona che devono decidere come ripartire i sacriici tra i paesi in diicoltà e le economie più loride del continente. Anche ammettendo che questa tesi riesca a catapultare Tsipras al potere dopo il 17 giugno, la cosa più diicile sarà convincere gli altri paesi europei. Tsipras sarà capace – o disposto – ad accettare i compromessi necessari per arrivare a un accordo con paesi come la Finlandia e la Germania? Per ora il leader di Syriza non sembra avere un piano di riserva.
Il 24 maggio, nella sua prima apparizione della campagna elettorale in vista del voto del 17 giugno, Tsipras ha messo a nudo i suoi punti di forza e le sue debolezze. Tornato da un viaggio a Parigi e Berlino, si è afacciato in una piccola piazza davanti a una chiesa ortodossa nei pressi dell’Acropoli.
Vestito con un paio di jeans e una camicia a righe bianche e azzurre, si è fatto largo tra la folla verso un tavolo con un microfono.
“Le elezioni non sono uno scontro tra Syriza e gli altri partiti”, ha detto. “Sono uno scontro tra la speranza e la paura. Tra i poteri del passato, che hanno distrutto la Grecia, e la nostra forza, che vuole fare un passo verso un futuro migliore. Tra il potere della corruzione e il potere dei poveri”.
Dopo il discorso ha risposto a una serie di domande. Una donna voleva sapere la sua posizione sulle energie rinnovabili. Uno studente gli ha chiesto cosa avrebbe fatto per aiutare i giovani. Un uomo gli ha domandato come avrebbe riformato il settore pubblico. Tsipras ha dato risposte generiche.
Ha usato le domande per attaccare i suoi avversari, per promettere un futuro in cui nessuno avrà fame e per ribadire il concetto che il problema dell’economia greca è fuori dei suoi conini.
Nella settimana precedente aveva provato a spiegare che le sue critiche al memorandum andavano interpretate come una mano tesa all’Unione europea. Mentre il sole tramontava sulla piazza ha fatto capire che quella mano può diventare un pugno.
“Vi chiediamo di dare forza a Syriza per dare forza alla Grecia”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Dobbiamo avere la forza di dire: se volete farci afondare, vi trascineremo giù insieme a noi” .