Sebastiano Maffettone, L’Espresso 21/6/2012, 21 giugno 2012
Più petrolio vuol dire meno diritti alle donne Non è combattendo l’Islam che gli occidentali possono favorire la parità dei diritti di genere– Sappiamo che in Italia il rapporto tra uomini e donne nelle posizioni di potere e reddito non è equo
Più petrolio vuol dire meno diritti alle donne Non è combattendo l’Islam che gli occidentali possono favorire la parità dei diritti di genere– Sappiamo che in Italia il rapporto tra uomini e donne nelle posizioni di potere e reddito non è equo. Unica, magra, consolazione per la nostra discriminazione di genere finisce con l’essere il fatto che nei Paesi islamici la situazione è peggiore. Ma un articolo pubblicato dalla "American Political Science Review" sembra smentire questo luogo comune. L’articolo, a firma di Michael L. Ross dell’Ucla (University of California Los Angeles), sostiene con abbondanza di dati statistici, una tesi sorprendente. Sarebbe a dire che l’Islam non c’entra con la discriminazione di genere, ma che la causa più importante del "maltrattamento" delle donne risiederebbe nella presenza di petrolio. Secondo l’autore dell’articolo la scarsa partecipazione di donne alle strutture di potere e il loro svantaggio rispetto ai maschi nei Paesi islamici ha poco a che fare con la religiosità. Dipende invece dal rapporto tra le condizioni sociali ed economiche e la religiosità locale. Per fare un esempio, se in Algeria il numero delle donne in carriera è minimo, questo stesso numero risulta più alto nei vicini Marocco e Tunisia. La cosa è interessante perché Algeria, Marocco e Tunisia sono Paesi islamici ma solo l’Algeria ha giacimenti di petrolio. Le cause di questo dato sono facilmente comprensibili. Il petrolio costituisce una barriera all’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. La ricchezza che da esso proviene aumenta i salari dei maschi, consente ai governi di pompare molto più reddito all’interno del sistema e quindi a favore delle famiglie. Ambedue queste cause generano una riluttanza delle donne a entrare nel mercato del lavoro: si alza la soglia al di sotto della quale non sono disposte a lavorare perché vivono già in un relativo agio. C’è correlazione tra mancanza di lavoro femminile e scarsa partecipazione politica e influenza pubblica delle donne. Meno donne lavoratrici significa meno potere femminile e meno indipendenza personale. Si può notare che la cosa nulla ha a che fare in prima istanza con avere l’Islam come religione di base. Perché la correlazione tra presenza di petrolio e discriminazione di genere esiste anche nell’Africa subsahariana e nei territori dell’ex Unione Sovietica. Naturalmente il dato va interpretato in rapporto alla tradizione culturale del Paese di cui parliamo. La ricchezza da petrolio ostacola lo sviluppo femminile in maniera sostanziale in Paesi islamici, ma non ha lo stesso effetto in Norvegia. Di per sé un dato del genere è comunque significativo. E lo è ancora di più se noi lo congiungiamo con la questione del cosiddetto "resource curse", il rapporto tra presenza di forti giacimenti di risorse naturali in un Paese in via di sviluppo e difficoltà che questo stesso Paese trova a fare progressi verso la democrazia. Tutto ciò venendo meno al postulato secondo cui la democrazia dovrebbe essere favorita, così come la discriminazione di genere scoraggiata, in Paesi con reddito medio-alto. Qualcosa del genere non avviene nei Paesi che hanno notevoli giacimenti di materie prime. Come ha mostrato in un suo seminario presso il dipartimento di Scienze Politiche Luiss lo studioso Leif Wenar (King’s College, Londra) la presenza di abbondanti materie prime in un territorio senza tradizioni liberal-democratiche può essere fonte più di danno che di vantaggi per la democrazia e poi per i cittadini, a cominciare dai più deboli che sono le donne. Questi dati, così interpretati, sembrano smentire un atteggiamento culturale e politico dell’Occidente nei confronti dei Paesi islamici. Dal punto di vista culturale questo atteggiamento è basato sull’idea di conflitto di civiltà, secondo la quale, prima o poi, l’Occidente progressista e liberale si troverà a scontrarsi con l’Islam tradizionalista e reazionario. Bene, alla luce di quanto detto, la tesi è discutibile se non altro se si considera il trattamento discriminatorio nei confronti delle donne. Le conseguenze politiche legate all’accettazione del paradigma del "resource curse" sono ancora più significative. La colpa del deficit democratico legato alla vendita delle risorse naturali da parte dei Paesi in via di sviluppo è evidentemente dell’Occidente. Questo perché i soldi occidentali del petrolio vanno spesso in mano a governanti autocratici che ne approfittano per assoggettare la popolazione. Basterebbe dunque mettersi d’accordo, tra occidentali, per fare sì che i soldi del petrolio non arrivino in mani "sporche" allo scopo di favorire la liberal-democrazia nei Paesi in via di sviluppo dove ci sono materie prime. Che qualcosa del genere non sia facile, lo do per scontato. Ma è pur sempre meglio della pretesa di diffondere liberalismo e democrazia con le invasioni militari.