Elisa Manacorda, L’Espresso 21/6/2012, 21 giugno 2012
Nostre Signore di Vega– Cinque donne. Ingegneri spaziali. Sono il cuore dell’ambizioso progetto Avio del vettore satellitare low cost
Nostre Signore di Vega– Cinque donne. Ingegneri spaziali. Sono il cuore dell’ambizioso progetto Avio del vettore satellitare low cost. In gran parte made in Italy– Niente accendini, vietati i telefonini accesi. Persino le poche automobili autorizzate a parcheggiare all’interno sono prive di accendisigari. Quando si varcano i cancelli dello stabilimento, tutto quello che può provocare una scintilla deve restare fuori. D’altra parte, qui di materiale in grado di innescare una potente deflagrazione ce n’è quanto se ne vuole. Perché la Avio, il gruppo aerospaziale internazionale di Rivalta, a Torino, ma con stabilimenti anche a Colleferro, in Ciociaria, affonda le sue radici nella Bpd (Bombrini Parodi-Delfino), specializzata in esplosivi e prodotti chimici già all’inizio del secolo. Qui, nei grandi capannoni immersi nella disordinata campagna laziale, sono stati messi a punto e sperimentati i primi razzi a polvere chimica e i motori a propellente solido per il comparto aerospaziale. Sempre qui, sotto le insegne della Snia, sono stati sviluppati e prodotti i motori di separazione del lanciatore europeo Ariane. E dunque c’è un filo rosso che lega la storia di questo impianto a uno dei progetti più ambiziosi della ricerca di oggi. Un progetto in gran parte made in Italy. E che tutti sperano possa restare tale anche nel prossimo futuro (vedi box). Parliamo di Vega, il vettore satellitare low cost (costa 25 milioni anziché i 100 di Ariane), agile e leggero, a ridotto impatto ambientale, destinato a mandare nell’orbita bassa satelliti di piccolo taglio, facendo così concorrenza a vettori più blasonati, ma più pesanti e costosi. Al cuore di questo straordinario progetto c’è un gruppo di ricerca tutto italiano. E molto femminile. Le chiamano "Le signore di Vega": cinque giovani ingegnere aerospaziali che da anni lavorano con competenza e passione alla progettazione, costruzione e verifica del piccolo razzo vettore italiano. Il primo successo è arrivato il 13 febbraio scorso, quando dallo spazioporto di Kourou, nella Guyana francese, il lanciatore si è proiettato verso lo spazio, portando in orbita, a 700 chilometri di altezza, tutto il suo prezioso carico: due satelliti italiani - Lares (laser relativity satellite) dell’Asi e AlmaSat-1 dell’Università di Bologna - più altri sette nano-satelliti di varie università europee: e-St@r del Politecnico di Torino, UniCubeSat GG della Sapienza di Roma, e poi Golia (Romania), MaSat-1 (Ungheria), PW-Sat (Polonia), Robusta (France) e Xatcobeo (Spagna). Ad accompagnare Vega nel suo primo lancio, alla base francese d’oltreoceano, c’era Giovanna Manca, laureata in ingegneria aerospaziale alla Sapienza di Roma, da dieci anni alla Elv (la società congiunta di Avio e Agenzia Spaziale Italiana attraverso la quale Avio è stata capo-commessa per lo sviluppo e la qualifica di Vega). L’ultimo anno e mezzo lo ha passato a Kourou, per curare insieme a un ristretto team di colleghi la preparazione della campagna di lancio. "Abbiamo realizzato dei test con un modello inerte - cioè senza propellente - del lanciatore in scala 1:1, poi ho seguito la campagna di lancio come secondo assistente meccanico", spiega. Significa che Giovanna conosce Vega in ogni suo bullone, e sa per esempio cosa è necessario affinché il lanciatore sia perfettamente collegato con la torre di integrazione, la struttura che lo tiene puntato verso il cielo. "Quando l’ho visto dritto sulla rampa, dal monitor della sala comandi, mi sono commossa", ricorda. Ma durante il countdown, l’umore è cambiato: "L’ho salutato come si saluta un figlio che parte per il mondo: con orgoglio, ma anche un po’ di apprensione. Vai, vai, ripetevo dentro di me, come se quell’oggetto avesse vita propria". Se il lancio di qualifica è andato bene, il merito è anche di Claudia Di Trapani, 30 anni, che al progetto Vega lavora sin dal suo ingresso in Avio. È lei, altra ingegnera aerospaziale, che si è occupata delle prove di simulazione dei motori. È sempre lei, insieme al suo team, che ha verificato attraverso modelli computerizzati le dinamiche strutturali del razzo vettore e l’adeguatezza del payload, cioè del carico destinato a essere trasferito in orbita. E ancora lei ha garantito, grazie ai suoi test con tavoli vibranti, che i diversi pezzi di cui è costituito Vega fossero in grado di sostenere le vibrazioni provocate dalla partenza e dal suo viaggio nello spazio. "L’aspetto del mio lavoro che mi appassiona di più è vedere nascere il pezzo, testarlo, metterlo in opera", racconta. Nel capannone principale, un gigantesco hangar dalle pareti dipinte di bianco, appare l’enorme struttura del P80, il primo stadio del lanciatore: un tubo in fibra di carbonio, 10 metri di lunghezza per tre di diametro, "uno degli oggetti monolitici in questo materiale più grande del mondo", spiega Francesca Lillo, una laurea in chimica e in Avio dal 1992. Se il filo arrotolato su questo super-rocchetto venisse dipanato in tutta la sua lunghezza raggiungerebbe i 5 mila chilometri, dice Francesca Lillo, che dal 2002 è responsabile del polo che si occupa dei propellenti solidi. All’interno del programma Vega, la ricercatrice coordina le attività dei laboratori per lo sviluppo dei materiali e dei processi industriali dei motori. "In questo hangar", spiega, "viene costruita la struttura del P80 in fibra di carbonio: un concetto del tutto nuovo, che rende questo stadio estremamente leggero. Il risultato è che tutto il Vega pesa al decollo non più di 137 tonnellate". È questo uno dei tanti assi nella manica del vettore: il costo del lancio, infatti, viene calcolato in base al peso che deve andare in orbita. Se il vettore è leggero, sarà leggero anche il prezzo da pagare per poter accedere allo spazio, aprendo le porte della sperimentazione anche a nuovi soggetti prima esclusi, come centri di ricerca o piccole imprese. "Per avere un’idea delle proporzioni", continua Francesca Lillo, "basta pensare che il lanciatore Ariane 5, costruito in acciaio, trasporta satelliti fino a 10 tonnellate, Soyuz circa la metà, Vega fino a 1.500 chili". Dalla rampa al cielo, la vita del P80 dura due minuti appena: tre mesi di lavoro destinati a staccarsi dal corpo del lanciatore, distruggersi e ricadere in frammenti nell’oceano. Poi si accende il motore Zefiro 23 (stage motor), il secondo stadio, sempre a propellente solido. "Per garantire la protezione termica della struttura ed evitare che si deformi con le alte temperature della combustione, proteggiamo lo Zefiro con un involucro particolare, un rivestimento interno di gomma speciale resistente", spiega ancora la scienziata. In questi hangar ciascuno stadio resta in lavorazione almeno due mesi. Poi il motore viene sottoposto alle prove di accensione in Sardegna, al poligono del Salto di Quirra, per essere dichiarato abilitato al volo. L’ultimo stadio, dopo che anche il secondo motore Zefiro 9 ha compiuto la sua funzione e si è distaccato, è l’Avum (and Vernier Upper Module), il motore - l’unico dei quattro a propulsione liquida - posto sull’ogiva che ospita il carico da immettere in orbita. Con il primo lancio dello scorso inverno, i satelliti alloggiati nella testa del lanciatore sono arrivati a destinazione in tutta sicurezza. Grazie anche a Sara Corsetti, la più giovane delle "signore del Vega": 29 anni appena, una laurea in Ingegneria astronautica, da due anni lavora al Centro Prove e Sperimentazione dello stabilimento laziale, gestendo la fase di integrazione e i test sulle piastre di accensione dei motori a propulsione liquida, seguendo anche le procedure per il caricamento del carburante dell’Avum nel Centro spaziale guyanese. "Quando sei vicina alla fase di lancio e qualcosa non funziona, devi per forza trovare una soluzione in breve tempo: servono inventiva e fantasia, ma anche la capacità di lavorare con le mani. Per fortuna io adoro le chiavi inglesi e i saldatori", spiega. Attraverso un lungo corridoio si giunge infine nella "camera pulita" dello stabilimento: qui si entra solo con camici, cuffie e soprascarpe, per evitare di aumentare la concentrazione di polveri nell’aria, che non deve superare le 100 mila particelle per metro cubo. A terra giace, come un gigantesco cetaceo arenato, uno dei due booster (i razzi a propellente solido) di Ariane 5, il fratello maggiore di Vega, costruito sotto l’occhio vigile dell’Agenzia Spaziale Europea. Il booster, che da solo è alto quanto tutto il Vega, è qui per le ultime fasi di incollaggio della protezione termica. "Nei quasi vent’anni che ho trascorso in Avio ho vissuto esperienze professionali straordinarie", spiega Francesca Lillo, "come ad esempio la qualifica di Ariane 5. Ma il programma Vega ha aperto una nuova frontiera, con una sfida tecnologica senza precedenti per lo sviluppo di motori di nuova generazione". Il futuro del nostro lanciatore low cost, il cui secondo lancio è previsto nell’aprile del 2013, è anche nelle mani di Laura Cospite, sul progetto sin dai suoi esordi nel 2000, che oltre a conoscerne tutta la storia passata ne sta progettando anche il destino. Oggi infatti questa ingegnera aeronautica è responsabile del gruppo disegnazione e configurazione, quindici persone che sotto la sua guida pensano alle evoluzioni successive del Vega, eseguono i calcoli strutturali e studiano la l’aerodinamica del lanciatore, cercando di aumentare al massimo il comfort del payload, che non deve essere sottoposto a troppe vibrazioni e sollecitazioni. "Siamo un gruppo di persone tenaci e capaci", dice: "Che cominciando da zero e con poche risorse - se paragonate a quelle spese per progetti analoghi - sono riuscite a concretizzare qualcosa su cui ben pochi avrebbero scommesso dieci anni fa". La diffidenza dei colleghi maschi? Sì, un po’ si percepisce. Ma noi, dicono le signore del Vega, siamo brave e testarde. Prima o poi, anche nell’aerospazio, l’onda lunga delle donne li sommergerà. n