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 2012  giugno 21 Giovedì calendario

Italia senza merito colloquio con Giuseppe De Rita – Una borghesia inesistente e un ceto medio di dimensioni mostruose: autoreferenziale e familista

Italia senza merito colloquio con Giuseppe De Rita – Una borghesia inesistente e un ceto medio di dimensioni mostruose: autoreferenziale e familista. Un potere articolato in una serie di cerchi orizzontali, dove la cooptazione avviene non per capacità e sapere acquisito, ma per abilità a tessere relazioni personali e per appartenenza. E ancora: università ipertrofiche, dove i criteri di valutazione sono arbitrari e le esigenze della vita reale e del mercato tenute fuori. Ecco in estrema sintesi, le ragioni per cui in Italia la parola meritocrazia non ha cittadinanza, se non nei sogni e nelle utopie. Giuseppe De Rita, presidente del Censis, fresco autore (con Antonio Galdo) di "L’eclissi della borghesia", signore ottantenne di modi gentili e affabili, quando racconta questa Italia e quando spiega perché anche nel campo del sapere e della mobilità sociale siamo messi molto peggio della gran parte del mondo civile (e a poco servono le trovate del ministro Profumo su concorsi per i primi della classe), sembra un medico impietoso. Non si ferma ai sintomi, individua invece le vere ragioni della malattia ormai cronicizzata, per poi proporre una lunga faticosa via di guarigione. Con qualche speranza per il paziente. Partiamo da un’ipotesi. Viviamo in un’epoca in cui le reti di potere, di comunicazione, di scambi, non sono verticali ma orizzontali. Una volta si diceva: "Sono stati assunti due democristiani, un comunista, un socialista e uno bravo". Oggi, in assenza di veri partiti, di organizzazioni forti, nella frammentazione della vita sociale anche la cooptazione avviene a prescindere dai meriti e in base a considerazioni di tipo lobbistico, familistico, di clan. "È un’ipotesi giusta, ma non vale solo per l’Italia. Tutto il potere mondiale è ridotto a circuiti orizzontali, ad anelli simili a quelli intorno a Saturno e che non comunicano tra di loro. Il primo anello è la finanza internazionale; subito dopo c’è l’anello europeo: la burocrazia di Bruxelles. Anche in Italia abbiamo a che fare con circuiti orizzontali, a partire dal governo: le ragioni per cui sono stati scelti i ministri, in fin dei conti, sono la conoscenza reciproca e uno stile di vita comune. Pure i rapporti tra governo e partiti sono orizzontali. Non si capisce se l’esecutivo debba tener conto di quello che dice il Pd o il Pdl, oppure dei commenti degli importanti editorialisti dei grandi giornali". Una definizione della parola orizzontale? "È sinonimo del "relazionale". Ma attenzione: è l’orizzontalità a creare la relazione perché fuori dal circuito di cui fai parte non c’è salvezza. Infatti, a cosa pensano i politici? Al sistema di alleanze, questione di relazioni. La tragedia di questo momento è che l’unica verticalità la danno i mercati". Cosa hanno a che fare i mercati con la mancanza di meritocrazia in Italia? "Parto da lontano. Una volta, un leader del Pci che andava a Mosca si recava in visita dal suo imperatore. Lo stesso valeva per un capo della Dc che faceva un viaggio a Washington. Ambedue adattavano poi gli ordini ricevuti alla realtà italiana. Facevano, in altre parole, una serie di mediazioni: da quella nella direzione del partito e giù giù fino alla sezione o alla parrocchia. La verticalità dei mercati è invece diversa, in basso arrivano solo ordini perentori, senza mediazione e senza dialettica. Ma come si può, senza una dialettica politica e sociale - verticale per la sua natura - parlare di merito e di mobilità verso l’alto?". Perché in Italia la situazione è peggiore? Perché da noi la pratica della corruzione, l’andare avanti per raccomandazioni è più radicata che in altri Paesi occidentali? "Perché non abbiamo avuto una borghesia come classe generale. Abbiamo avuto invece la "cetomedizzazione"". Scusi? "Abbiamo fatto crescere a dismisura il ceto medio. Tra il 1971 e il 1981 i capannoni sono passati da 500 mila a 950 mila. Aggiunga il pubblico impiego, ed ecco la grande bolla del ceto medio, l’85 per cento della popolazione. Aveva capito tutto Pasolini quando diceva: questo è l’imborghesimento, non la creazione di una classe borghese. L’élite da noi non è diventata borghesia. Invece in Germania quella classe si è formata attorno all’ethos militare, in Inghilterra attorno a quello finanziario e in Francia a quello amministrativo. In tutti e tre i casi esiste il senso dello Stato. Da noi no". Invece da noi? "È stato il trionfo del soggettivismo assoluto: disprezzo per le élite, ognuno padrone di sé, libero di decidere ciò che è buono e bello. Il coronamento di tutto questo, ma si è trattato di un processo che è passato anche per il Sessantotto, è stato Berlusconi. Ecco, in termini storici e strutturali le ragioni per cui da noi la meritocrazia non c’è. Oggi, la cooptazione non avviene in base a delle capacità ma in virtù di relazioni interpersonali. In certi ministeri mi sembra di avere a che fare con degli zombi, con gerarchie non trasparenti, informali, non intellegibili. Aggiungo che anche l’antipolitica è l’espressione della stesso fenomeno: è la rabbia di chi è stato escluso da certi circuiti, senza alcun sistema di pensiero verticale. Al posto della meritocrazia abbiamo l’appartenenza. Stai con me o non stai con me? Vale anche per la gente che viene da McKinsey o dalla Bocconi". Vogliamo parlare di mancanza della meritocrazia nei nostri atenei? "L’università italiana è passata da 3 mila professori quando mi sono laureato io negli anni Cinquanta, a 60 mila oggi. E sono "cetomedizzati" pure loro. Lavorano nell’orizzontale, con i loro concorsi, i consigli di facoltà. Posso dire una cattiveria?". Prego. "La loro orizzontalità la esportano fuori. Fanno politica in un modo simile ai consigli di facoltà. Ma torniamo al nostro discorso. Io ho fatto parte, dal 2000 al 2005, del Comitato di valutazione universitaria. Sono arrivati sul mio tavolo le proposte per 3.600 corsi di laurea nuovi: una follia. Ne furono autorizzati oltre 2 mila. Ecco la fine del merito: la struttura che dovrebbe presiedere alla formazione del sapere, diventa orizzontale, per far comodo ai baroni. Il meccanismo fondamentale della vita umana, la mobilità verticale è stato sostituito da quello orizzontale: la moltiplicazione delle cattedre. Sono stato recentemente a una cerimonia in un’università del centro Italia. Si festeggiavano, come se fosse un matrimonio, cento laureati in Scienza della comunicazione. A cosa servono queste lauree? Al ceto medio che preme per avere il figlio dottore, non importa come. Ed ecco spiegato il disastro dei nostri atenei". E i sistemi di valutazione dei professori? "Sono inesistenti, arbitrio puro. Pensi al modo con cui si fanno le commissioni di concorsi, tra amici e parenti. In Italia manca quello che io chiamo la fedeltà all’oggetto: se sono un chimico devo pensare alla chimica". È l’idea di lealtà che si trova in "Linea d’Ombra" di Conrad. Il capitano del vascello deve riportare la nave a Singapore perché questo è il suo lavoro. "Qui invece il capitano pensa a chi è l’armatore e i suoi amici. Perché ci sia la meritocrazia occorre il know how di sistema: non è essere bravi tecnicamente, ma saper agire dentro il sistema globale. Noi quella capacità l’abbiamo persa (tranne poche eccezioni). Il nostro riferimento è un sistema povero, la piccola Italia. E un sistema povero favorisce clientele, corruzione, familismo". Il ministro Profumo propone di premiare i migliori della scuola. "E rimane sostanzialmente dentro il meccanismo di orizzontalità, perché il riferimento è sempre il sistema piccolo". Nelle università professori in pensione continuano a insegnare gratis. "Appunto. Un sistema povero. Tengono il posto occupato, finché il figlio non sarà in grado di prenderlo". Come uscirne? "Con il mercato, lo facciamo del resto noi al Censis da 50 anni. E se io fossi il presidente del Consiglio, direi agli italiani: diamoci un compito, ripaghiamo il nostro debito, costi quel che costi. Lo dico perché l’Italia ogni volta che ha perso la sovranità ha avuto uno scatto d’orgoglio. Possiamo risorgere, se vogliamo".