FRANCESCO SEMPRINI, La Stampa 15/6/2012, 15 giugno 2012
Italiani in carcere all’estero Più di tremila dietro le sbarre - Tremilacentonove connazionali reclusi all’estero
Italiani in carcere all’estero Più di tremila dietro le sbarre - Tremilacentonove connazionali reclusi all’estero. È questo il drammatico quanto sorprendente, bilancio dei cittadini di nazionalità italiana rinchiusi negli istituti penitenziari di tanti Paesi sparsi per il mondo. Un vera e propria popolazione carceraria, sul modello di quella esistente entro i confini nazionali, fatta di casi passati in giudicato, talvolta figli di sentenze affrettate e sommarie, e a loro volta motivo di battaglie per la libertà e il diritto a un processo giusto. Ma ci sono anche tante persone in attesa di giudizio, per le quali il carcere preventivo diventa una condanna di fatto. Migliaia di casi, talvolta simili fra loro, altre diversi, che vedono le autorità italiane impegnate in attività delicate e complesse, spesso condotte in riservatezza per tutelarne il buon esito e senza compromettere i rapporti istituzionali. È il ministero per gli Affari esteri a gestire la gran parte delle operazioni relative a casi di italiani costretti dietro le sbarre di carceri straniere, attraverso la capillare rete di rappresentanze diplomatiche presenti sul territorio straniero. Questo rientra nei più generali compiti che vedono la Farnesina assistere in senso lato i connazionali fuori dai confini attraverso la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e il «network» di ambasciate e consolati nel mondo. La sua opera si esplica attraverso la fornitura di certificazioni e servizi, come appunto l’assistenza consolare in caso di incidenti, questioni giudiziarie e casi che riguardano i minori, ovvero sottrazioni internazionali e adozioni. Secondo fonti ben informate, nel 2011 all’attivo del Mae ci sono stati circa settemila interventi diretti di assistenza in favore di italiani all’estero, con uno sforzo che ha visto impegnati funzionari a ogni livello. In questo contesto si inserisce il capitolo dell’assistenza ai connazionali detenuti all’estero, considerato ri uno degli aspetti «strategici», per la complessità e l’articolazione dei suoi aspetti. Secondo le ultime rilevazioni interne sono appunto 3.109 i casi di nostri connazionali che si sono trovati alle prese con la giustizia straniera e attualmente in stato detentivo. La mappa della popolazione carceraria vede una indiscussa dominanza dei Paesi del Vecchio continente. Risultano infatti 2.477 gli italiani rinchiusi nei penitenziari europei, ovvero il 79,67 per cento. Segue, a lunga distanza il continente americano nelle cui prigioni si trovano allo stato attuale 483 connazionali, pari al 15,53 per cento. Sono 73 invece quelli detenuti in Asia e Oceania, ossia il 2,34%, a seguire 64 nei Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, pari al 2,05%. Risultano infine 12, ovvero lo 0,38%, gli italiani reclusi nelle carceri di Paesi dell’Africa sub-sahariana. L’assistenza ai connazionali arrestati all’estero si concretizza in una serie di interventi messi in pratica da ambasciata o consolato. Riguardano sia la costante assistenza mediante visite in carcere e il mantenimento dei contatti con la famiglia, sia l’aiuto dal punto di vista legale, che può concretizzarsi nella segnalazione di avvocati e interpreti, nell’erogazione di sussidi o prestiti, sempre in compatibilità con il budget e le risorse finanziarie messe a disposizione delle autorità diplomatiche. L’assistenza inoltre, si esplica agendo in tutti i modi e in tutte le direzione consentiti d a l l ’o r d i n a mento locale, ovvero dalla legge vigente nel posto in cui si trova il connazionale recluso. E ancora intervenendo presso le autorità locali per garantire azioni a tutela dei diritti del cittadino italiano, per ottenere informazioni e, in caso, per sostenere una domanda di grazia per ragioni umanitarie. Infine, qualora il Paese dove è detenuto il connazionale aderisca alla Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei carcerati o abbia stretto accordi bilaterali «ad hoc» con lo Stato italiano, il Mae ha facoltà di sostenere l’istanza di trasferimento in Italia presentata dal detenuto. Sono stati diversi i casi di questo genere che si sono verificati in passato che hanno permesso di riportare a casa i detenuti, e nei casi di accertata colpevolezza, facendo scontare loro la pena nelle patrie galere.