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 2012  giugno 15 Venerdì calendario

Vitruvio nel suo trattato ha scritto che l’architettura è un’arte che agisce armata da molti altri mestieri in una stretta relazione con essi

Vitruvio nel suo trattato ha scritto che l’architettura è un’arte che agisce armata da molti altri mestieri in una stretta relazione con essi. Naturalmente non pensava a quelle che noi definiremmo «discipline», ma proponeva comunque una relazione dialettica con altri attori e con le loro proposte. A dire il vero sarebbe necessario chiederci perché, più in generale, nei processi di produzione edilizia problemi come procedimenti burocratici, le questioni di redditività, le scelte di marketing, i «cost control» abbiano determinato una progressiva importanza sempre più secondaria al progetto. Ma ciò che nel nostro caso specifico vorrei chiedermi è quale sia in particolare nei nostri anni la relazione con diverse ingegnerie che con l’attuale preminenza delle tecno-scienze hanno oggi un’importanza determinante nei progetti di architettura. Un’importanza, bisogna subito aggiungere, che ha diverse nature e diverse relazioni con la costruzione del progetto di architettura. Natura di rendere praticabili le idee, talvolta anche bislacche, proposte dal progettista; oppure di contribuire alla loro costituzione attraverso le invenzioni che muovono dal riesame innovativo della propria disciplina applicata alla soluzione di specifici problemi; o, ancora, proporsi di fare dell’architettura la rappresentazione enigmatica, mitica, della tecno-scienza stessa e della sua prevalenza come contenuto e unico valore (insieme con il denaro) di un futuro destino della società stessa. È forse la natura stessa della tecno-scienza ad essere in bilico tra la propria natura, in quanto mezzo dotato di una grande storia e invece quello sempre più presente di fine dell’architettura stessa? Sono questi interrogativi che perseguitano i migliori e più inventivi tra gli stessi ingegneri di strutture, forse da molti secoli, ma in particolare dal diciannovesimo da Telford a Eiffel, da Brunel a Freyssinet, da Hennebique a Pierluigi Nervi, da Kommendant a Peter Rice (1935-1992). È a quest’ultimo che è finalmente dedicata la traduzione del volume autobiografico del 1994 (L’immaginazione costruttiva, edito da Christian Marinotti ) che narra la straordinaria avventura di questo strutturista che distingue subito il carattere diverso della propria creatività dichiarando che egli ha sempre «cercato fondamentalmente di trasformare ogni problema in un altro problema». Anche se è proprio la capacità di proporre al problema ogni volta una soluzione fortemente creativa e sovente decisiva per il progetto di architettura. Nel 1956 Peter Rice lavora per Ove Arup, con Ronald e Jenkins, al progetto della Sydney Opera House con il grande Jørn Utzon, di cui qui si racconta la complicata avventura terminata solo nel 1968. Poi, sempre nel ’68, Rice torna da un’esperienza negli Stati Uniti, a lavorare da Arup e, dal ’71, inizia con Piano e Rogers l’avventura della progettazione del Beaubourg a Parigi e, con i due architetti separatamente, lavorerà sino al 1992, con Rogers per l’edificio di Lloyd’s e con Piano per il Museo DeMenil a Houston alla Fiat a Torino ed in molte altre occasioni. Ma il volume, che è illustrato da molti disegni e fotografia dei montaggi, illustra anche le molte altre collaborazioni inventive di Rice con altri architetti come Bohigas, Foster, Prouvé, con Fainsilber e con Tschumi a due diversi progetti alla Villette. Poi vi è il progetto del Teatro della Luna Piena presso Montpellier, e le esperienze con il valore strutturale di materiali come il tessile, il policarbonato, il vetro, il cemento e l’acciaio fuso. Nella sua biografia, è necessario rilevarlo, vi è un continuo interesse per la letteratura e la poesia, anch’essa forse simbolica trasformazione del problema in un nuovo problema, ma anche la soluzione proposta in un poetico enigma.