Mario Sensini, Corriere della Sera 15/6/2012, 15 giugno 2012
ROMA —
Con encomiabile spirito di sacrificio, materializzatosi in una defatigante seduta notturna, i consiglieri regionali sardi sono riusciti nell’impresa di conservare alla loro meravigliosa Regione un invidiabile primato. Eccezion fatta per la piccolissima Valle D’Aosta, la Sardegna è quella dove il costo della politica sarà anche quest’anno il più alto d’Italia. Nel 2010 ogni cittadino sardo ha sborsato 50 euro e 87 centesimi per mantenere il consiglio regionale, sette volte più dei 7 euro e 77 centesimi spesi dai lombardi.
Come ci siano riusciti è presto detto. Hanno votato nottetempo un emendamento a un disegno di legge sui precari (sui precari!) che ripristina tal quali i loro stipendi, alla faccia del referendum popolare che giusto qualche settimana fa aveva cancellato la vecchia legge con la quale erano regolamentate le loro indennità. Dopo il terrore, il sollievo: le buste paga, svanite d’un tratto, sono miracolosamente riapparse. Intatte. I dati del sito www.parlamentiregionali.it aggiornati al 14 maggio scorso dicono che ogni consigliere della Sardegna, prima di quel referendum aveva diritto a 3.452 euro e 35 centesimi netti di indennità più diaria e rimborsi spese per 6.855 euro e 11 centesimi. Totale: 10.307 euro e 46 centesimi, che salgono a 12.612 euro e 33 centesimi per il presidente. Cinque anni fa le stesse tabelle parlavano di 11.417 euro netti al mese per il consigliere semplice e di 14.644 euro per il presidente.
Moltiplicate le misure di oggi per ottanta, tanti sono i consiglieri regionali della Sardegna, e considerando le indennità supplementari per vicepresidenti, segretari e questori, si superano di slancio i 10 milioni l’anno. Risparmio che avrebbe fatto scivolare la Sardegna dietro la Basilicata (40 euro e 45 centesimi procapite nel 2010) nella graduatoria delle Regioni con gli apparati politici più costosi in rapporto agli abitanti. Tanto per dare un’idea dei soldi che se ne vanno, i siciliani spendono per il funzionamento dell’assemblea regionale circa 34 euro a cranio, 16 in meno rispetto ai sardi. E questo pur dovendo mantenere l’organo legislativo più numeroso e caro in valore assoluto di tutte le Regioni italiane. Se la Sardegna dovesse allineare il costo del proprio consiglio regionale ai valori della Lombardia (o dell’Emilia Romagna), sarebbe costretta, sulla base dei dati 2010, a tagliare il bilancio di oltre 70 milioni l’anno. Scusate se è poco. Con questi soldi, considerando i tempi di costruzione, si potrebbe realizzare tranquillamente la superstrada Olbia-Sassari.
La demagogia, sia chiaro, non ci è mai piaciuta. Sappiamo bene che azzerare le paghe dei consiglieri regionali non avrebbe senso. Ma non ha senso neppure ignorare l’indicazione di un referendum popolare, che va chiaramente in direzione di un taglio netto: e ignorarlo nel modo in cui è stato fatto. Alla chetichella, nottetempo, con 63 voti favorevoli e 3 (tre) astenuti.
Si sgola l’assessore regionale Mario Floris, a spiegare che non c’è stato nessun blitz, e che «con il referendum si è voluta modificare le modalità di calcolo dell’indennità e non abrogare la norma statutaria, che è legge di rango costituzionale» (traduzione: la consultazione ha cancellato il sistema con cui si calcola lo stipendio, ma non il diritto dei consiglieri a percepirlo).
Nessuna giustificazione è capace tuttavia di far passare il cattivo odore emanato da questa vicenda. E il fatto che non sia una novità non consola gli arrabbiatissimi promotori del referendum. La madre di tutte le fregature, da questo punto di vista, è stata la legge che dopo il referendum con cui nel 1993 ben 35 milioni di italiani avevano detto no al finanziamento pubblico dei partiti, ha ripristinato e alla grande quei rimborsi elettorali grazie ai quali i costi della politica sono letteralmente esplosi. C’è però da dire che pure a livello locale da allora sono stati fatti molti passi avanti sulla via della furbizia.
Qualche giorno fa la Regione siciliana ha deciso che a ottobre si terranno elezioni anticipate: a ottobre 2012 anziché nella primavera del 2013. Se si votasse a scadenza naturale, dice il governatore Raffaele Lombardo, «le alleanze nazionali annichilirebbero ogni possibilità di scelta o d’intesa da costruire in Sicilia». E allora? Allora, per evitare questa deprecabile eventualità, bisogna votare prima. Se poi questo dovesse significare far saltare il taglio dagli attuali 90 a 70 del numero dei consiglieri regionali, già approvato, beh... pazienza.
E che dire del Molise, dove le elezioni regionali sono state annullate ed era già pronta una leggina secondo cui anche in caso di scioglimento anticipato del consiglio non si sarebbe comunque potuta tenere una nuova consultazione prima di otto mesi? Anche grazie alle denunce pubbliche del consigliere di Costruire democrazia, Massimo Romano, la cosa è poi saltata. Ma c’è mancato davvero poco.
Sergio Rizzo