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 2012  giugno 15 Venerdì calendario

ROMA —

La resa dei conti è fissata per le nove del mattino, in consiglio dei ministri. Il decreto con le «misure urgenti per la crescita» figura al primo posto di un ordine del giorno al momento privo di altri temi «forti» che non siano l’infuriare della crisi europea e, fuori sacco, un primo esame della spending review e delle dismissioni. Non dovrà aspettare molto oggi il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, per vedere se questa volta avrà fatto «goal». Fino a ieri sera la certezza ancora non c’era: il rimpallo tra la Ragioneria generale dello Stato e il Tesoro da una parte, e il ministero di Passera dall’altra, sulla copertura del provvedimento è proseguito fino a tardi.
«Ma questo è un vero e proprio boicottaggio!» sarebbe sbottato il ministro con i suoi, ripromettendosi di non mollare. La sua è stata una vera e propria scommessa: all’inizio della settimana Passera ha deciso di «congelare» le misure del decreto. «Io non tolgo più nulla — avrebbe detto —: o si approva così o si rimanda finché non avremo tutte le coperture necessarie» si sarebbe intestardito.
Il fatto è che per tutta la settimana i tecnici dell’Economia hanno avanzato dubbi circa la legittimità della copertura trovata dai colleghi dello Sviluppo economico alle misure sull’edilizia (bonus sulle ristrutturazioni e efficienza energetica): un prelievo fiscale dello 0,35% sulle riserve matematiche delle compagnie assicurative straniere operanti in Italia, in modo da metterle nelle stesse condizioni di quelle nostrane.
Per la Ragioneria si trattava di una misura inaccettabile perché configurava l’ipotesi di un recupero di evasione fiscale che andava a coprire una misura di abbattimento del prelievo fiscale. La tesi sarebbe stata smontata dai tecnici di Passera, più propensi a questo tipo di prelievo che a quello sulle polizze vita italiane e straniere, preferito dal Tesoro.
Ieri sera le parti erano arrivate alla conclusione di condividere la soluzione dello Sviluppo economico, quando la Ragioneria ha ributtato la palla in campo avversario, mettendo in dubbio che da tale misura possano derivare 200 milioni.
Fuori da via Veneto Passera ha mantenuto l’aplomb istituzionale: per giorni, in tutte le sedi pubbliche possibili ha negato contrasti e ha ripetuto che «l’esame del decreto si farà». Piano piano al suo fianco è emerso uno schieramento trasversale che finora era rimasto nell’ombra: i vertici politici di Pdl, Pd e Udc (Angelino Alfano, Enrico Letta e Pier Ferdinando Casini), quelli sindacali (il leader della Cisl, Raffaele Bonanni) e imprenditoriali (il neopresidente di Confindustria, Giorgio Squinzi). Persino il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, un po’ tirato per la giacchetta sui tempi del decreto, si è lasciato sfuggire un «si sta per stringere».
La cosa è stata tanto evidente da suscitare l’interrogativo su cosa ne pensi davvero il premier, il quale in pubblico ha confermato l’arrivo in porto del decreto di Passera, puntualizzando però che è solo un «tassello» nella più ampia «operazione crescita, iniziata fin dal primo giorno del governo». Quanto alla guerriglia che si è scatenata tra il ministero e la Ragioneria, quello che pensa Monti l’ha scritto in una lettera a Repubblica. E a nessuno, neanche a Passera, può essere sfuggito il passaggio in cui, a proposito di Mario Canzio, si dice che il «Ragioniere deve essere visto e rispettato dallo stesso ministro dell’Economia e perfino dal presidente del Consiglio, oltre che ovviamente da ciascun ministro, come imparziale garante della credibilità dei conti pubblici». Credibilità che Monti, in un momento come questo, non vuole sia messa in discussione.
Antonella Baccaro