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 2012  giugno 14 Giovedì calendario

SVEZIA, LA DEMOCRATICA VIA TWITTER DIVENTA OSTAGGIO DELLA BIONDA SONJA

La Svezia questa settimana è lei: Sonja Abrahamsson, 27 anni, due figli, single. «Una mamma poco colta — così si definisce — che però non si droga e non si prostituisce». Una blogger che «scrive, interviene ogni tanto alla radio» e non fa progetti: «Pensare al futuro chiaramente non è la mia specialità». Una svedese qualunque, un’ambasciatrice speciale: il governo di Stoccolma (l’ente del turismo) l’ha scelta per rappresentare nove milioni di svedesi. Via Twitter: l’idea sarebbe costruire l’immagine (la reputazione?) di un Paese attraverso il social network più hot del momento. Roba seria: «Nell’epoca della comunicazione di massa, la prosperità di una nazione dipende largamente dal modo in cui è considerata all’estero». Ecco dunque che la Svezia si vanta «di essere il primo Paese al mondo ad aver affidato l’account ufficiale di Twitter ai propri cittadini». Il progetto si chiama «Curators of Sweden» e la sua lingua è l’inglese. Ogni settimana, uno svedese «comune» (proposto dagli internauti e scelto da una giuria di tre persone) si prende il piacere e la responsabilità di scrivere dalla postazione @sweden diventando «il reggitore unico del profilo Twitter più democratico del mondo». Ogni settimana, un curatore diverso. Finora si sono alternati in trenta. Gente di ogni tipo (quasi tutti giovani). Bibliotecari soddisfatti, camioniste lesbiche, allevatori di pecore, pubblicitari, avvocatesse musulmane. Il più giovane 18 anni, il più maturo 60. Il primo (il progetto è partito lo scorso dicembre), Jack Werner, si è procurato migliaia di seguaci e una menzione del New York Times per il suo nomignolo («masturbating Swede») ottenuto avendo ammesso con onestà la sua attività preferita (oltre a bere caffè e stare con gli amici). L’ultima è Sonja la lappone, che viene dal paesino di Latikberg («Vuol dire montagna di lamponi», precisa lei) dove «tutti sono parenti e possiedono un trattore». Sonja (come gli altri «Curatori») oltre al trattore e alle renne («Da noi trovi pane e carne di renna in ogni negozio») conosce bene Internet: cura un blog, «scrive cose» e la settimana scorsa guardacaso ha scritto sul sito Nyheter24 un articolo sull’importanza di «potersi esprimere pubblicamente su argomenti delicati» perché altrimenti «il rischio è urlare cose sgradevoli in un bosco dove al massimo ti risponde il latrato di un cane lontano».
Sonja questa settimana si esprime per il proprio Paese. In mezzo a tweet banalmente simpatici sui figli che dormono e sulla carne di renna, ha buttato in Rete alcune considerazioni sugli ebrei. «Al mio paese non ci sono ebrei. Immagino che si tratti di una religione. Ma perché i nazisti ne parlavano in termini di razza?». «Una volta ho chiesto a un collega chi fosse un ebreo. Lui tra l’altro era mezzo ebreo. Mi ha risposto: "Ehm, gli ebrei sono… gente colta?"». Poi il riferimento storico: «Nella Germania nazista agli ebrei cucivano persino delle stelle sulle maniche». E ancora: «Non si puoi riconoscere un ebreo a meno di non vederne il pene, e anche in questo caso non si può essere sicuri...». Risposte di fuoco tra i 28 mila seguaci di @sweden. Chi l’ha chiamata sarcasticamente «mio Führer». Chi l’ha invitata a stare zitta: «Noi ebrei siamo persone normali, non capisci quanto sei offensiva?». Qualcuno (come @lisaschamess) si è mostrato più comprensivo («Da ebrea non mi sento offesa per le tue domande»). Dall’America il presentatore Stephen Colbert si è proposto al «ministero svedese di Twitter» per sostituire la bionda lappone e prendere il controllo dei cinguettii nazionali. Lei, Sonja, si è subito scusata con un paio di messaggi che suonano sinceri: «Non volevo offendere nessuno. Semplicemente non capisco perché certa gente odia tanto gli ebrei». Patrick Kampmann, direttore dell’agenzia che ha sviluppato il progetto per conto del governo, non commenta. Ma esclude ogni censura. Quanto pesano i passi falsi (o ingenui) di Sonja per l’immagine di un Paese? Via Twitter il pubblicitario Jeff Jenkins fa pollice verso: «Come affondare un brand in un colpo solo». Nell’«era della comunicazione di massa» meglio affidarsi al vecchio strumento dei testimonial, tipo Ibra o gli Abba?
Michele Farina