Martino Cervo, Libero 13/6/2012, 13 giugno 2012
IL PIANO TEDESCO SALVA-EURO
La via d’uscita c’è, ed è firmata (anche) Goldman Sachs. È un trionfo tecnocratico, ma probabilmente toccherà accontentarsi, in una strana nemesi in cui all’inizio e al principio della fine del peggior dissesto economico e finanziario del dopoguerra ci sono protagonisti non dissimili. Da mesi, preso atto del rischio di avvitamento nelle politiche di austerity comandate da Berlino, circola un’ipotesi – peraltro di marca tedesca – chiamata European Redemption Pact, o European Redemption Fund. In sostanza, si tratta di un fondo che assorbe i debiti pubblici nazionali nella parte eccedente il 60% del Pil. Non è una novità: è un’idea ripresa dal consiglio di esperti economici del governo tedesco e comprenderebbe Austria, Belgio, Cipro, Francia, Germania, Italia, Malta, Olanda e Spagna (Grecia esclusa, perché il debito di Atene è in mano alla Troika), tutti i Paesi cioè con un rapporto debito/ Pil superiore alla quota fissata. L’uovo di Colombo è quel che manca all’Europa arrancante: una vera condivisione del rischio. Le garanzie infatti dovrebbero essere fornite dai singoli stati aderenti sotto forma di entrate fiscali con l’impegno a ripagare le loro passività entro un periodo di 20-25 anni (gli studi prevedono un esaurimento nel 2035). È il vero “firewall” che da mesi si invoca (i prestiti illimitati della Bce di Draghi comprano soltanto tempo), perché un fondo così costruito sarebbe in grado di emettere bond per almeno 2.500 miliardi di euro: il triplo degli attuali strumenti salva- Spagna (Efsm ed Esm) sommati. Questo “bazooka” anticrisi abbinerebbe le garanzie fornite dai tanto invocati Eurobond a una integrazione fiscale pesante (condizione cui i tedeschi non intendono derogare), e si esaurirebbe a crisi del debito prosciugata. Per Paesi come il nostro il lato positivo di una cessione ulteriore di sovranità (l’accesso al finanziamento sarebbe vincolato a meccanismi definitivamente non rappresentativi) dovrebbe risiedere nel minor rendimento con cui piazzare i titoli di Stato: gli esperti prevedono infatti che i tassi si abbasserebbero drasticamente stroncando il balletto degli spread e rendendo molto più difficili operazioni speculative sui singoli Stati più deboli. I quali almeno avrebbero in cambio qualcosa, a differenza della fase attuale nella quale l’Italia si sta impiccando al fiscal compact gettando milioni su milioni nella fornace dello spread. In pratica è la più tecnocratica delle soluzioni, e non a caso compare nei report delle maggiori banche mondiali. Pochi giorni fa Libero ha citato un documento di Bnp Paribas che illustrava la fondatezza di questo cammino. Ora anche Goldman Sachs, l’istituto di cui il premier è stato advisor e al quale la Cassa depositi e prestiti ha affidato la consulenza nell’operazione di scorporo di Snam, parla del Redemption Fund come piano dall’uscita dalle secche della crisi. Altro dettaglio: a firmare il report sono due italiani, Francesco Garzarelli e Silvia Ardagna, leader del team di ricerche macroeconomiche di Goldman. Il primo è un bocconiano, la seconda ha di recente incrociato le lame con Paul Krugman a proposito di austerity. Alla fine del documento, viene significativamente citata la proposta - nata a fine 2011 - fatta propria dal consiglio di esperti tedeschi, dalle cui elaborazioni è tratta anche la maggior parte dei grafici. L’aspetto interessante e nuovo è la convergenza tecnocratica e politica: se l’Erf finisce nei report della maggior banca di sistema francese e in quelli di Goldman Sachs curati da due italiani, ha solide elaborazioni in Germania (la Merkel, dopo un rifiuto iniziale, starebbe apprezzandone molti aspetti) e può contribuire a calmare la frustrazione americana per l’evolversi della crisi, è molto probabile che, col perdurare dell’agitazione dei mercati, sia questa la strada primaria di cui si parlerà nei vertici europei di fine giugno e nei mesi successivi. A far propendere per il “Fon - do di redenzione” c’è un altro particolare: sarebbe compatibile con l’assetto attuale del Trattato, a differenza degli Eurobond che creano molti più problemi di ortodossia comunitaria. I problemi restano comunque giganteschi: l’Erf va costruito, approvato e lanciato, la sua credibilità testata sui mercati, in più non si sa chi, come e dove lo gestirà. Sicuramente la via d’uscita ha in questo momento i migliori padrini possibili. Per l’Italia i problemi di crescita resterebbero intatti, ma almeno sarebbe costretta al rigore da un buon motivo. Certo sarebbe difficile non vederci una cospicua evaporazione della democrazia rappresentativa.