Vittorio Zucconi, la Repubblica 14/6/2012, 14 giugno 2012
VIA DALLA GUERRA FREDDA USA E URSS SI PARLANO SEDUTI SOTTO UNA BETULLA UNA FOTO UN’OLIMPIADE- HELSINKI 1952
Stalin aveva ancora pochi mesi di vita. Truman era inchiodato in Corea da orde di cinesi armati dai sovietici. La prima bomba termonucleare era pronta a esplodere nell’atollo di Enewetak ma qui, al fresco delle betulle, nelle ombre lunghe delle notti bianche del Nord, ragazzi americani e russi chiacchierano, chissà in quale lingua, in un’atmosfera da gita del dopolavoro.
Helsinki 1952 fu la prima Olimpiade che vide partecipare l’Unione Sovietica. Fu la prima occasione nella quale uomini e donne ai quali era stato fatto credere di essere creature aliene, fatti di materia e antimateria, si sfiorarono e si parlarono. È l’aria di normalità, di avida curiosità reciproca, quella che colpisce nell’istantanea di un tempo che fu chiamato Guerra Fredda, ma proprio in quei primi anni ‘50 era già caldissimo sotto la crosta, in Corea e nella corsa alla bomba del Dottor Stranamore.
L’immagine dei “boys” con la scritta USA, e dei “màlchiki” russi con le insegne della CCCP, che allora pochi sapevano essere in realtà SSSR, trasmette un senso di animazione sospesa. È un “fermo immagine” della storia fuori dal mondo, come erano ancora, quei giochi Olimpici senza sponsor, senza lustrini, senza tronfie cerimonie. Soprattutto ancora senza televisione in molte nazioni. Come l’Italia, dove la Rai avrebbe cominciato le trasmissioni soltanto nel 1954. Già quattro anni più tardi, nella lontanissima Melbourne del 1956, le telecamere avrebbero cominciato a divorare lo sport, a piegarlo alla dittatura dello show e del “personaggio”, ma non ancora in questo villaggio finlandese avvolto in una serenità da giardinetto pubblico.
Non sapremo mai di che cosa stessero parlando quei giovanotti in ruvide felpe sportive su calzoni qualsiasi, da liceali d’una volta o da operai in gita sociale. Se parlassero di vita a casa, o di quei record che Helsinki avrebbe polverizzato come nessuna altra Olimpiade avrebbe più fatto fino alla Pechino 2008 e ai miracoli della biochimica. Certamente non si rendevano neppure conto di rappresentare un’anomalia dentro un mondo che stava correndo avidamente verso l’autodistruzione. Eppure, dietro i ragazzi russi, fuori inquadratura, vegliava sicuramente uno “zampo-lit”, un badante del Kgb incaricato di evitare che qualcuno avesse la tentazione di saltare il fosso. E si può scommettere che in quell’umile e umano villaggio olimpico di una Finlandia uscita appena da una guerra devastante, ma già sotto la cupola sovietica detta “finlandizzazione”, con la squadra Usa ci fossero uomini dell’Agenzia, della Cia, per il “debriefing”. Per sapere che cosa avessero saputo dai contatti con i russi. È un incontro ravvicinato del terzo tipo. Un contatto strettamente umano, non ancora politico o diplomatico come sarebbe stata la futura «diplomazia del ping pong» fra Usa e Cina, che non avrebbe purtroppo cambiato la storia
neppure dei Giochi, destinata a correre verso il reciproco boicottaggio olimpico prima degli americani contro la Mosca 1980 e poi dei sovietici contro la Los Angeles del 1984.
Resta un attimo chiuso nel tempo di una notte bianca sul Baltico, tra la sorpresa, la curiosità, la scoperta di un avversario anche sportivo che avrebbe,
nel proprio debutto olimpico, sfidato la superpotenza americana arrivando secondo ad appena cinque medaglie nel totale, 76 per i “boys” americani, 71 per i “màlchiki” russi. Poco più di dieci anni dopo questa foto, americani e sovietici, forse questi stessi uomini con ben altre uniformi indosso, sarebbero stati protagonisti di un nuovo incontro troppo ravvicinato, quello con la guerra atomica per i missili a Cuba. Una corsa che, fortunatamente per tutti, non arrivò mai al traguardo.