Valeria Chianese, Avvenire 14/06/2012, 14 giugno 2012
Voragine Irpinia, 32 anni di sprechi - Quasi trentadue anni dal sisma dell’Irpinia, ma nulla è concluso
Voragine Irpinia, 32 anni di sprechi - Quasi trentadue anni dal sisma dell’Irpinia, ma nulla è concluso. Né il ricordo, né la ricostruzione. Ancora oggi il gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture per il completamento della ricostruzione delle zone della Basilicata e della Campania colpite dal sisma del 1980 ha individuato in 2 miliardi di euro la cifra occorrente per terminare i lavori. Esattamente 600 milioni per la Basilicata e 1.400 milioni la Campania. Nonostante l’enorme cifra già stanziata – 32 miliardi di euro – e nonostante le residue giacenze di cassa. Il 23 novembre del 1980, alle 19.34, la terra nelle profondità dell’Irpinia con un ruggito feroce esplose e travolse case, chiese, scuole, ospedali, borghi dove donne e bambini e uomini lasciavano scorrere la loro domenica e la loro vita. I morti furono 2.914, i feriti 8.848, gli sfollati 280.000. È una ferita mai rimarginata nella memoria e nel cuore. Traccia sempre fresca, che si ritrova ogni giorno nei cimiteri dove a centinaia le tombe riportano la stessa data, nel cemento consumato dal vento e dalla pioggia delle opere incompiute, nelle strade senza nome delle new town, le città nuove costruite al posto dei paesi distrutti. La ricostruzione post-terremoto in Irpinia è stato uno dei peggiori esempi di speculazione su di una tragedia: nonostante l’ingente quantità di denaro pubblico versato è ancora incompleta. Lo dimostrano le numerose indagini della magistratura e delle commissioni parlamentari d’inchiesta. Più di 32miliardi di euro i fondi stanziati dallo Stato: l’ultima tranche, di 157.000 euro, è stata stanziata dal governo Prodi con la finanziaria del 2007. Oltre 115 milioni di dollari (valuta degli anni Ottanta, ndr) i fondi giunti da altre nazioni. Inizialmente erano 36 i Comuni più colpiti, diventarono 280 in seguito a un decreto dell’allora Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia l’8,5% del totale dei comuni italiani. Alle aree colpite erano destinati numerosi contributi pubblici ed era interesse dei politici locali far sì che i territori amministrati fossero inclusi nella lista dei beneficiari. Per la camorra il sisma segnò invece l’inizio di una rapida ed estesa trasformazione: moltissimi camorristi divennero imprenditori edili. La ricostruzione fu incentrata sul rilancio industriale – modello post-terremoto del Friuli – nonostante il territorio non presentasse tali caratteristiche. Il meccanismo di ricezione dei fondi pubblici prevedeva la costituzione di imprese che però fallivano non appena intascati i contributi. I finanziamenti arrivarono talmente concentrati da non riuscire ad essere spesi. In sette anni 26 banche cooperative aprirono gli sportelli nella zona terremotata (9 nella sola provincia di Avellino) arrivando a prestare denaro alle imprese del Nord. Secondo la relazione finale della Corte dei Conti, i costi per le infrastrutture crebbero fino a punte «di circa 27 volte rispetto a quelli previsti nelle convenzioni originarie». Il 48,5% delle concessioni industriali (146 casi) fu revocato. Il terremoto dell’80 fu anche uno scandalo politico. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini giunse nella desolazione del disastro a 48 ore dal sisma. Il 27 novembre, in un discorso in tv rivolto agli italiani, denunciò con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi, che sarebbero arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni. Le dure parole del capo dello Stato suonarono come una condanna dell’allora sistema politico del Paese e del governo Forlani (Dc). Enrico Berlinguer, segretario del Pci, propose una nuova formula politica: «L’Italia ha bisogno di un governo diverso, di capaci e di onesti, che faccia perno sui comunisti», disse. Progetto impossibile per la Dc e per il Psi, che governeranno insieme per i successivi dieci anni, fino a Tangentopoli.