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 2012  giugno 14 Giovedì calendario

Click. Invia. Basta un quarto di secondo e la risposta arriva, la pagina si popola di collegamenti da esplorare

Click. Invia. Basta un quarto di secondo e la risposta arriva, la pagina si popola di collegamenti da esplorare. Nel tempo di una ricerca su Google nel mondo viene alla luce un bambino (sono quattro i neonati ogni secondo), dieci fulmini cadono in qualche parte della Terra, nel cosmo nascono mille nuove stelle. Un quarto di secondo è un battito di ciglia, è il tempo in cui Usain Bolt percorre quasi tre metri, è l’istante infinito in cui ci si innamora. E tra il click e i risultati pure succedono molte cose. Anzi, alcune succedono anche prima: i motori di ricerca come Google utilizzano dei software robot, detti «crawler» o «spider» che analizzano il web, leggono le pagine, controllano i «link» e inviano i risultati ai «data center». Sono sempre in movimento, un esercito instancabile che cerca di mettere ordine nella tempesta di nuove informazioni che nascono su Internet, navigando tra siti di importanti giornali e blog trascurati da anni, senza dimenticare social network, aziende, istituzioni, dizionari, forum. I dati raccolti sono analizzati nei vari centri di calcolo di Google (ma ovviamente succede lo stesso con Bing o gli altri motori di ricerca), per costruire una specie di indice del web. Quello di Mountain View è uno dei più grandi al mondo, ed è il frutto di un lavoro che ha comportato un milione di ore di elaborazione informatica. Quindi arriva il momento della ricerca, e anche qui c’è una sorpresa. I motori di ricerca suggeriscono possibili temi appena si comincia a digitare qualche lettera, completando le parole secondo le «query» più frequenti. Una novità a cui siamo ormai abituati, ma «Google Instant» è stato introdotto nemmeno due anni fa. Una semplificazione, che nasconde un processo assai complesso: una volta scelto il CALCIO PPA PARRO A ROOLELE LE Goal! CALCIO termine da cercare, i dati viaggiano fino a uno dei data center (Google ne ha 11 sparsi nel mondo), e non è detto che la risposta arrivi da quello più vicino. In Belgio o Finlandia potrebbero essere sovraccarichi, mentre magari nel North Carolina c’è un computer che potrebbe rispondere prima alla nostra domanda. In media, ogni richiesta viaggia (alla velocità della luce) per 2400 chilometri, tra reti cellulari, cavi di rame, fibra ottica. A decidere i risultati è un algoritmo, una formula matematica che analizza l’indice del web e scova i «link» più adatti: lo hanno inventato i due fondatori di Google, Larry Page e Sergej Brin, ispirandosi al lavoro di un italiano, il padovano Massimo Marchiori. L’algoritmo «PageRank» nacque nel 1998, e da allora è cambiato costantemente per fornire risultati sempre più precisi: solo lo scorso anno gli aggiornamenti sono stati oltre cinquecento. Deve funzionare al meglio, perché è con le ricerche hanno fatto la fortuna dell’azienda, nata in un garage della California e oggi il sito più visitato del mondo, tanto da diventare sinonimo della ricerca sul web, con miliardi di interrogazioni ogni giorno. Eppure Google sbaglia ancora, ingannato da omonimie, abbagliato dalla ricerca delle notizie più fresche, confuso dall’assenza del contesto, che nel linguaggio comune permette di definire meglio il significato dei singoli termini. È la sfida della ricerca semantica: trasformare una raccolta di informazioni in conoscenza organica; prima o poi ci si arriverà, e allora forse da Mountain View giungerà la risposta perfetta. Rimarrà solo da trovare la domanda giusta.