Mattia Feltri, La Stampa 14/6/2012, 14 giugno 2012
Secondo voi, che senso ha una giornata parlamentare lunga una decina di ore durante la quale Daniela Melchiorre dei Liberal democratici-Movimento associativo italiani all’estero, già prodiana, già berlusconiana, già di Rinnovamento italiano, già della Margherita, per citare solamente i passaggi più evidenti, fa per tre volte la sua dichiarazione di voto, e sempre uguale a se stessa? E’ difficile trovare una risposta
Secondo voi, che senso ha una giornata parlamentare lunga una decina di ore durante la quale Daniela Melchiorre dei Liberal democratici-Movimento associativo italiani all’estero, già prodiana, già berlusconiana, già di Rinnovamento italiano, già della Margherita, per citare solamente i passaggi più evidenti, fa per tre volte la sua dichiarazione di voto, e sempre uguale a se stessa? E’ difficile trovare una risposta. E’ difficile anche spiegare fino a quale punto la spossante seduta della Camera di ieri - in tempi in cui si accusa la casta di nullafacenza - abbia offerto la sferica rappresentazione della schizofrenia che governa i palazzi del legislativo. Si è cominciato alle 9.30, con l’informativa di Mario Monti commentata in diretta tv con toni e verve preelettorali da Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini, cioè il trio che soltanto la sera precedente era stato ricevuto dal medesimo premier perché la maggioranza trovasse un compattamento davanti all’infiammare della crisi. Giusto mezzora di pausa, e poi si è proceduto con la triplice fiducia sul disegno di legge anticorruzione, un inno ai tempi cavernicoli dei regolamenti parlamentari. Una questione risolvibile in un’ora: dichiarazioni di voto dei gruppi, voto elettronico. Ma va là, il trionfo protocollare è andato avanti sino oltre le 19 al ritmo dell’allucinato rap della chiama: «Pelino / Peluffo / Pepe Antonio / Pepe Mario...». Si è infatti proceduto classicamente: dichiarazioni di voto, dichiarazioni personali dei dissidenti, convocazione nominale sotto il banco della presidenza, ulteriore chiamata, proclamazione. E così una seconda e una terza volta. In tutto soltanto lo psicotico andirivieni dei parlamentari è durato oltre cinque ore, record europeo indoor, si presume. La decisione era stata presa in conseguenza a una ciarlatanata dell’esecutivo, e presa da Gianfranco Fini, certamente rispettoso alla lettera delle sacre norme, probabilmente debordante nel leguleio: nessuno si sarebbe opposto a una soluzione meno codificata e senz’altro meno comica e ridondante. Anche Massimo D’Alema («Io qui mi riposo. Lavoro e mi affatico in commissione o al comitato di controllo dei servizi segreti, ma qui mi riposo», diceva beffardo indicando ad ampi gesti il Transatlantico) si era reso conto della sceneggiata e chiedeva al segretario d’aula del Partito democratico, Roberto Giachetti, se non sarebbe stato possibile asciugarla, magari con una sola dichiarazione di voto anziché tre. «Devo controllare ma credo di sì», diceva Giachetti, però poco fiducioso nel buon senso dei colleghi iscritti a parlare, e così felici dei loro dieci minuti di celebrità. «E’ che una volta il segretario d’aula non proponeva, disponeva», replicava un incantevole D’Alema. E dunque è stata una giornata di malumori stancamente diffusi fra una sigaretta e l’altra nel cortile di Montecitorio. Mal di pancia così blandi e ripetitivi che si sono seriamente concretizzati in un fitto dibattito fra il pidiellino Giuseppe Moles e Rita Fantozzi (capo ufficio stampa del partito) a proposito dei controversi benefici del latte sulla gastrite. Il momento più creativo - politicamente parlando - si è consumato in aula quando Alessandra Mussolini ha autografato due foto di nonno Benito per la leghista Carolina Lussana. «E che c’è di male? Pensassero a cose più serie», ha detto la Mussolini. «Sono per un mio giovane amico nostalgico, un ammiratore del nonno di Alessandra», ha aggiunto Carolina. Va bè, forse conta di più che la coraggiosa e sfacciata Mussolini abbia detto tre volte no al governo, mentre i liberali del Pdl si siano limitati a qualche astensione. Tutti lì ad allargare le braccia:«Hanno avuto paura di cancellare il processo inguinale a Berlusconi e però salvano Filippo Penati». «Con il reato di traffico di influenze ci consegniamo alla magistratura e alle sue estrose interpretazioni», diceva Cuido Crosetto. Si tratta di una legge che dovrebbe contrastare le più oscure attività di lobbying, diciamo così, ma rischia di far passare per crimini le più ovvie relazioni, e ci rideva sopra uno come Denis Verdini: «A me mi daranno l’ergastolo, ma non possiamo fare cadere il governo...». Certo no. E allora dài, tutti insieme: «Pelino / Peluffo / Pepe Antonio / Pepe Mario...».