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 2012  giugno 14 Giovedì calendario

È UN altro segnale, insieme al naufragio familistico- criminale della Lega, al ripristino della fermata dell’autobus davanti a Palazzo Grazioli, alle derive personali e professionali di maschere come Emilio Fede, Lele Mora, Fabrizio Corona e Marcello Dell’Utri che non c’è più spazio per i falsi capitani d’industria e i falsi playboy

È UN altro segnale, insieme al naufragio familistico- criminale della Lega, al ripristino della fermata dell’autobus davanti a Palazzo Grazioli, alle derive personali e professionali di maschere come Emilio Fede, Lele Mora, Fabrizio Corona e Marcello Dell’Utri che non c’è più spazio per i falsi capitani d’industria e i falsi playboy. Non c’è più spazio per i falsi capi di Stato, le soubrette ministre, i falsi giornalisti, le patacche storiografiche dei falsi intellettuali. Flavio Briatore chiude, da falso gran signore, il suo Billionaire, con la pagliacciata del deluso dall’Italia, la sceneggiata della patria ingrata che non lo capisce e dà del ladro ai “poveri” ricchi come lui. Ma la verità è che il Billionaire non aveva più clienti, e dunque chiude per fallimento il covo della pacchianeria italiana. Ce ne ricorderemo di quest’antropologia che ha dominato il Paese negli ultimi venti anni e che esce di scena insieme all’idea che il farabutto è una risorsa. E speriamo che anche i nostri colleghi cortigiani, quelli che fecero un genere dell’elogio del mascalzone furbo, capiscano quanto era povera e servile quella loro tesi compiaciuta sulla magnifica stoffa del figlio di puttana. Per anni ci è parsa ributtante l’idea che Briatore fosse la versione italiana del maudit, della simpatica canaglia alla Belmondo e che ci fosse il genius loci di un’Italia vincente e spiritosa nell’esibizione delle panze da abbuffata, nel brum brum sulla Porsche, nelle donne rifatte, nel turpiloquio da caserma ma anche nelle truffe finanziarie del falso capitalismo: capitali immaginari e crediti millantati. Questa robaccia che si impose con spavalderia non è stata mai anticonformismo ma sempre e solo patacca conformista. Nacquero, quelli del Billionaire, come riproposta farsesca delle atmosfere della Dolce vita e del Sorpasso, ma senza la dimensione romantica dell’Italia del boom né tanto meno l’ironia intelligente di Fellini e Dino Risi. E si capì che il loro destino era segnato già nella parodia di Panariello: tutti vedevamo che, come nel caso di Cetto Laqualunque, era al di sotto della realtà. Pensate: Briatore, nonostante il fallimento, sogna ancora di potersi imporre come modello. Leggo che prepara il suo debutto in un reality nel quale insegnerà a tanti poveri aspiranti Briatore come diventare capitalisti e squali, come farsi ricchi e fregare il prossimo. Nonostante il botto finale, Briatore dunque vuole una cattedra di pescecane. Visto come gli è andata, è come se Schettino si mettesse a insegnare l’arte del comando. Ovviamente lo so che la volgarità non si esaurisce con Briatore, che le sue vie sono infinite. E però…: Briatore e le sue macchine, Briatore e i suoi trucchi esibiti, Briatore e la sua socia Santanché, Briatore e il rullio dello yacht che addormenta il bambino, Briatore e i buffi spocchiosi riccastri di Porto Cervo, Briatore e l’Italia sardoestiva alle ostriche, allo champagne e 43 metri di barca… Oggi intanto finisce Briatore. E speriamo che da domani, a valanga, scoppieranno tutte le altre rane che volevano fare i buoi.