Massimo Sideri, Corriere dell Sera 14/6/2012, 14 giugno 2012
Trecento quaranta trilioni di trilioni di trilioni: un numero che fino ad ora avevamo letto solo nelle storie di zio Paperone quantifica la nuova «dimensione» di Internet
Trecento quaranta trilioni di trilioni di trilioni: un numero che fino ad ora avevamo letto solo nelle storie di zio Paperone quantifica la nuova «dimensione» di Internet. Semplificando molto possiamo dire che da una settimana, con il passaggio dal protocollo Internet versione 4, Ipv4, alla versione 6, Ipv6, il numero degli indirizzi unici della Rete sono diventati potenzialmente espandibili dai «vecchi» 4,3 miliardi fino a questa grandezza irraggiungibile: 34 seguito da 37 zeri. Qualcuno li avrà anche giocati al Lotto. Eppure, al di là della tentazione della cabala, la vera domanda è: cosa ce ne faremo di questi 340 trilioni di trilioni di trilioni di nuove «porte» al web se sulla Terra siamo in tutto 7 miliardi (e, potremmo aggiungere, molti offline)? È stato calcolato che con il nuovo protocollo ci saranno 100 indirizzi per ogni atomo del mondo, circa 50 seguito da 27 zeri Ip per ogni essere umano. Un po’ troppi. Ma per comprendere il senso del numero bisogna rispolverare un po’ di storia di Internet. La versione 4 del sistema dei protocolli sui quali ancora viviamo online è del 1981. Allora nessuno aveva immaginato a cosa saremmo andati incontro e dunque era sembrato ragionevole implementare un sistema a 32 bit, suddiviso in 4 gruppi da 8 bit separati ciascuno da un punto (più complicato descriverlo che leggerlo: 10101010.10101010.10101010.10101010). Le combinazioni possibili con questo sistema erano appunto 4,3 miliardi, una capacità di spazio che avevamo sostanzialmente saturato. Nell’implementare la versione 6, allo studio dal ’98, si è passati a un sistema con 128 bit (scritto sarebbe troppo lungo). I 340 trilioni di trilioni di trilioni sono dunque una soglia potenziale alla quale si è puntato anche per non avere problemi per almeno un secolo anche se ora, proprio come 30 anni fa, non possiamo sapere cosa succederà tra 30 anni. «Al di là del numero — spiega Alberto Degradi, direttore tecnico di Cisco Italia — quello che è importante è che non avremo più problemi di indirizzamento. La versione 6 è un forte elemento di abilitazione per l’Internet delle cose». Un Ip è sostanzialmente il numero con il quale un qualunque apparecchio viene identificato in Rete. Un personal computer, un tablet, uno smartphone. Ma l’industria sta già collegando o pensando di collegare tutto alla Rete, dal frullatore, alla lavatrice, all’automobile. «Stimiamo — continua Degradi — 50 miliardi di oggetti collegati già nel 2020. Internet raddoppia in termini di oggetti ogni 5,32 anni. Questo è un dato preciso, perché ogni oggetto ha un Mac address, un sotto-indirizzo che ci permette di individuarne il numero esatto. Quindi tra 8 anni avremo sette oggetti collegati per ogni persona sulla Terra». E ognuno avrà un nuovo Ip. Il che pone anche un problema di «tenuta» della Rete. Con la crescita dei nuovi Ip è come se stessimo aprendo 50 miliardi di porte nuove sulla Rete senza però cambiarne ponti e autostrade. Abilitati gli ingressi ora bisognerà investire sull’infrastruttura. «È un tema concreto anche se ci stiamo già adeguando con reti che lavorano su terabit al secondo di velocità» conferma Degradi. L’Ip è anche il numero occultato dietro i domini web che noi siamo abituati a scrivere con le lettere come corriere.it. Dietro a ognuno di essi c’è il codice numerico collegato al server dove il sito si appoggia. E proprio ieri, l’Icann, l’ente non profit per lo sviluppo di Internet, ha reso noto a Londra che sono giunte 1.900 richieste per i nuovi suffissi personalizzabili che si affiancheranno ai 22 attuali (come .com o .it). Tra i domini più richiesti ci sono .book, .shop, .news e quelli geografici (il .roma è stato domandato da una società inglese). In fila anche le aziende: Google ha fatto richiesta per 100 domini tra cui .google, .youtube e anche .lol. La Fiat ne ha domandati nove. Il costo? 185 mila dollari e 25 mila dollari l’anno. Abbastanza per far demordere qualche egocentrico. Massimo Sideri