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 2012  giugno 14 Giovedì calendario

Niente scherzi. Vogliamo sperare che i ministri Patroni Griffi e Severino saranno messi nelle condizioni di rispettare la promessa fatta ieri

Niente scherzi. Vogliamo sperare che i ministri Patroni Griffi e Severino saranno messi nelle condizioni di rispettare la promessa fatta ieri. Vogliamo sperare che il divieto di candidare i corrotti scatterà effettivamente dalle prossime elezioni, e non invece da quelle del 2018 come qualcuno forse spera. Grazie, magari, a una provvidenziale melina in Senato, a qualche insperato intoppo nell’esercizio dell’assurda e incomprensibile delega governativa, o a chissà quale miracolo. Aggiungiamo che dovrebbero fortemente volerlo pure i partiti. Con la fiducia dell’opinione pubblica nei loro confronti piombata ai minimi storici, c’è davvero chi crede di poter presentare nelle liste elettorali più di venti condannati in via definitiva, alcuni per reati gravissimi, come è stato fatto nel 2008? E con i sondaggi che stanno decretando la dissoluzione dei partiti della vecchia maggioranza e la salute precaria della ex opposizione, mentre i consensi del Movimento cinque stelle crescono impetuosamente, qualcuno sul serio pensa di poter salvare dai processi, candidandoli al Parlamento, i numerosi accusati di corruzione, quando non di collusione mafiosa? Non si può scommettere sul contrario, ma per chiunque sarebbe un harakiri garantito. La verità è che il disegno di legge anticorruzione è nato male ed è cresciuto peggio. Il governo di Silvio Berlusconi lo aveva presentato il primo marzo del 2010: era appena scoppiato lo scandalo degli appalti dei Grandi eventi, le imprese della Cricca dominavano le prime pagine. Si aspettava una risposta rapida e decisa della politica. Invece quel ddl è finito subito a bagnomaria in Parlamento. Per approvarlo in prima lettura ci sono voluti quindici mesi, durante i quali è successo di tutto. Le inchieste giudiziarie hanno squassato i partiti di destra e di sinistra, senza risparmiare quasi nessuno. Mentre la Corte dei Conti diffondeva stime da brivido, secondo cui la corruzione pesa ogni anno sulle spalle dei contribuenti per 60 miliardi di euro. Metà del fatturato totale prodotto in Europa da questo reato, calcolato dalla Commissione di Bruxelles in 120 miliardi, è dunque a carico nostro. Il 16 febbraio del 2012, venti anni esatti dopo l’arresto di Mario Chiesa e l’inizio di Tangentopoli, il presidente della magistratura contabile Luigi Giampaolino ha dichiarato pubblicamente: «Illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel Paese le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce». Parole allucinanti. Insensibili agli allarmi della Corte dei Conti quanto alle stesse inchieste giudiziarie, i partiti hanno continuato ad azzuffarsi: alcuni di loro perseguendo l’esplicito obiettivo di far fallire la legge. Così a ventisette mesi di distanza ci ritroviamo ancora nell’incertezza di sapere se i corrotti si potranno o meno candidare alle prossime elezioni del 2013. E sapete a chi bisogna dire grazie? A chi ha cambiato opportunamente la norma originaria, che stabiliva semplicemente il divieto a candidarsi, trasformandola in un articolo che delega al governo il compito di fare un regolamento. Un regolamento per stabilire che i corrotti non possono entrare in Parlamento o nei Consigli regionali! Chiamiamola con il suo nome: una furbata, senza altro scopo se non quello di guadagnare tempo. Complimenti.