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 2012  giugno 14 Giovedì calendario

MARIO SENSINI

ROMA — Tre fondi comuni pubblici, due immobiliari e uno mobiliare, con una dote di tre miliardi e mezzo di euro, per le dismissioni degli enti locali: immobili, ma anche le partecipazioni di controllo nelle società che svolgono servizi pubblici e che molti Comuni, per legge, dovranno dismettere. Il progetto del governo è già a un buono stato di avanzamento e i fondi comuni ai quali ha accennato ieri a Berlino il presidente del Consiglio, Mario Monti, saranno operativi per l’inizio dell’autunno.
I protagonisti dell’operazione saranno i Comuni (dai quali è partita l’iniziativa), le Province e le Regioni, poi la Cassa depositi e prestiti, che rimetterà in campo anche il Fondo strategico italiano, e l’Agenzia del Demanio. L’obiettivo è quello di valorizzare i beni, cederli e fare cassa, ma anche quello di dare attuazione concreta al federalismo demaniale, che ha devoluto una serie di beni agli enti locali, che tuttavia hanno poche risorse per investirci, valorizzarli e, eventualmente, dismetterli.
Il primo fondo immobiliare sarà gestito direttamente dalla Cassa depositi e prestiti, avrà una dotazione iniziale di un miliardo di euro, ed è destinato ad acquisire da Regioni ed enti locali i beni immobili che queste istituzioni già posseggono e che devono essere ristrutturati, eventualmente modificati nella destinazione d’uso, e collocati sul mercato.
Il secondo fondo immobiliare sarà gestito, invece, dall’Agenzia del Demanio e avrà il compito di portare a compimento il federalismo demaniale, rimasto bloccato dalla mancanza di fondi dei Comuni. Per attivarlo servirà, però, una norma di legge per «rovesciare» l’impostazione del federalismo demaniale, che a fronte di un elenco di beni del valore di circa 3,2 miliardi di euro, dava agli enti locali e alle Regioni la facoltà di esercitare una sorta di diritto d’opzione per acquisire quel bene.
Tutti gli immobili e i terreni passibili di trasferimento dal Demanio agli enti locali, secondo il progetto, dovrebbero invece essere girati al nuovo fondo immobiliare. Regioni ed enti locali, a quel punto, avrebbero un lasso di tempo breve, che ancora deve essere determinato, per esercitare l’opzione su quel particolare bene. Ricevendone la titolarità, con la possibilità di accedere alle procedure accelerate per la dismissione e la valorizzazione, oppure quote del fondo comune, se non addirittura denaro contante. Il patrimonio non opzionato dovrebbe essere poi messo sul mercato, ed il ricavato ripartito tra Regioni ed enti locali, che tuttavia potranno utilizzare queste entrate per abbattere il proprio debito o realizzare nuovi investimenti, e comunque non per finanziare la spesa corrente. Il nuovo fondo immobiliare destinato ad attuare il federalismo demaniale dovrebbe avere una capitalizzazione, secondo le indiscrezioni, pari a un miliardo, un miliardo e mezzo di euro.
Il terzo strumento che il governo sta mettendo a punto è invece un fondo comune mobiliare, destinato cioè ad acquisire azioni. L’obiettivo del fondo, che sarà attivato ancora dalla Cassa depositi e prestiti, ma questa volta probabilmente attraverso il Fondo strategico italiano, sarà quello di agevolare la dismissione delle aziende controllate dai Comuni che svolgono servizi pubblici locali, e che in buona parte devono essere dismesse per legge. Secondo la normativa attualmente in vigore, i Comuni fino a 30 mila abitanti dovranno cedere entro il 31 dicembre del 2013 tutte le partecipazioni nelle società controllate, i Comuni che hanno tra 30 e 50 mila abitanti potranno mantenerne una sola, mentre tutti i municipi più grandi per continuare ad attribuire alle società oggi controllate gli affidamenti «in-house», cioè la titolarità dei servizi senza procedere a una gara, dovranno scendere sotto la quota di controllo.
La discesa in campo del Fondo strategico italiano della Cdp, che ha un capitale libero di 4 miliardi, uno dei quali sarebbe a servizio del nuovo fondo, imporrà tuttavia una selezione particolare delle società che potranno essere rilevate. Dovranno essere aziende di «rilevante interesse nazionale», avere almeno 200 dipendenti e soprattutto prospettive di redditività e sviluppo. Potranno essere acquistate dal fondo, inoltre, solo quote che assicurino il controllo delle società che svolgono servizi pubblici.
Mario Sensini

VALENTINA CONTE (Repubblica)
Fondi mobiliari e immobiliari per cedere quote di patrimonio pubblico. Il governo è pronto a predisporre speciali “veicoli” per valorizzare i gioielli di famiglia, soprattutto quelli degli enti locali - partecipazioni e mattone piazzarne le quote e scardinare così la mole di debito pubblico. Diverse le ipotesi sul tavolo. Dalla Superholding al trust, da società ad hoc (Sgr) al rafforzamento di Cassa depositi e prestiti e Demanio. Obiettivo minimo dell’operazione taglia-debito, almeno 50 miliardi. Ma si può salire.
ROMA
— Il tempo è maturo per una spallata al vero mostro dei conti italiani, il suo debito pubblico. Un buco nero che viaggia verso i 2 mila miliardi di euro, oltre il 120% del Pil, rende vulnerabile il Paese e nutre il gioco della speculazione che poi infierisce sullo spread tra Btp e Bund, proiettato ora verso quota 500. L’annuncio del premier Monti, ieri da Berlino, imprime un’inaspettata accelerazione alla più decisiva delle manovre Salva-Italia, l’unico “firewall” plausibile in queste ore di panico sui mercati: l’erosione del debito.
OPERAZIONE TAGLIA-DEBITO
La via tracciata dal presidente del Consiglio riguarda la cessione di quote di patrimonio pubblico, sia mobiliare che immobiliare, a fondi speciali. I «veicoli» sarebbero già stati predisposti, ha fatto capire Monti, ma nulla si sa circa l’entità della massa critica che qui convoglierà. La torta totale vale 571 miliardi e contiene asset immobiliari di Stato e soprattutto di enti locali, che hanno un valore di mercato complessivo superiore ai 400 miliardi. A cui aggiungere partecipazioni (come in Eni, Enel, Finmeccanica, Anas), municipalizzate, concessioni. Gioielli di Stato, ma anche carrozzoni da valorizzare, tra cui l’esecutivo sarà chiamato a scegliere.
NASCE IL FONDO SALVA ITALIA
Ma come avverrà la cessione? Le ipotesi in campo sono diverse. La più accreditata vede in gioco una super-Sgr (Società di gestione del risparmio) o in alternativa la creazione di più fondi immobiliari a cui lo Stato vende parte dei suoi asset. Il fondo si finanzia poi collocando le quote presso investitori privati e istituzionali, il cui rendimento è garantito dal flusso di entrate degli stessi asset, come gli affitti pagati dallo Stato alla Sgr. Si stabilirà poi un vincolo di destinazione degli introiti netti dell’operazione, a riduzione del debito pubblico, escludendo dunque un loro utilizzo per finanziare nuove spese o riduzioni di imposte. Meno probabile la strada della Super-Holding, un bacino enorme in cui far confluire le controllate del Tesoro, le partecipate degli enti locali, gli immobili.
IL RUOLO DELLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI
Il punto debole dell’operazione “fondo” potrebbe però essere la scarsa liquidità in circolazione. Il mercato in questo
momento “non beve”, come si dice. E anche i tempi non certo brevi di realizzazione. D’altro canto, però, occorre fare in fretta. Ecco che avanza un’altra ipotesi, fattibile e rapida, circolata a più riprese nelle passate settimane. E che vede come protagonista la Cassa depositi e prestiti, società controllata dal Tesoro al 70%, ma fuori dal perimetro della pubblica amministrazione (in teoria, può fare debito per acquistare, ma incorrerebbe nel veto di Bankitalia), che gestisce circa 120 miliardi di risparmio postale degli italiani. Un bacino da cui attingere risorse per acquistare partecipazioni azionarie del ministero dell’Economia, anche fino a 50 miliardi, obiettivo considerato non troppo distante dalle intenzioni del governo sull’intera operazione.
SACE E FINTECNA
A fare gola, sono soprattutto Sace e Fintecna, società pubbliche floride, ricche di liquidità, tra i 10-15 miliardi, si stima, con le quali creare sinergie industriali nelle attività che ne disegnano il “core business”: l’assicurazione del credito alle esportazioni e soprattutto l’immobiliare, attraverso Fintecna immobiliare (a quel punto si dovrebbe escludere però Fincantieri, l’altra controllata di Fintecna). La leva finanziaria derivante dalla valorizzazione di queste
expertise
porterebbe in cassa i 50 miliardi desiderati, o più, per fare altri acquisti. Dal canto suo, il Tesoro potrebbe “stracciare” o meglio ritirare dal mercato una buona quantità di titoli di Stato, cominciando dai vecchi Btp, anche approfittando delle loro quotazioni ora decisamente ribassate. Il debito pubblico calerebbe.
OBIEZIONI
Esiste un problema politico, come ovvio quando si parla di patrimonio pubblico e partecipate. Ma anche diverse perplessità che spengono i facili entusiasmi. Per quanto riguarda gli immobili, ad esempio, la valutazione del patrimonio non residenziale è di 368 miliardi. Ma la parte libera, non utilizzata per le loro esigenze dalle amministrazioni, ne vale solo 42, l’11% del totale. E poi chi compra? Al contrario, il piano “vendi e riaffitta” potrebbe essere molto costoso, se lo Stato deve garantire un rendimento, rappresentato ad esempio dai canoni di locazione pagati dalle stesse amministrazioni.