Luigi Zingales, L’Espresso 14/6/2012, 14 giugno 2012
NON SI CRESCE PERCHÉ SI RUBA
Era il 1981 e in un’intervista su ’la Repubblica’ Enrico Berlinguer, capo dell’allora Partito comunista, sollevava la ’questione morale’ contro il sistema di potere democristiano. «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela - diceva Berlinguer - gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi». Sono passati più di trent’anni. La Democrazia cristiana non c’è più, il Partito comunista nemmeno. Ma la questione morale resta, anzi si è metastatizzata nel settore privato. Non si tratta più solo di politici che prendono soldi per finanziare illecitamente i loro partiti. Non ci si limita neanche ai politici che favoriscono gli amici, ricevendone in cambio vacanze, denaro, perfino case. Il cancro ha raggiunto ogni aspetto della società civile. I banchieri sono accusati di prendere mazzette per concedere credito, perfino i calciatori sono accusati di percepire tangenti per perdere le partite. Da tema solamente politico, la questione morale è diventata una questione economica: la causa ultima del mancato sviluppo dell’ultimo decennio. Se le nostre imprese non crescono, non è tanto per il famigerato articolo 18, ma per l’amoralità economica diffusa nel nostro paese.
NON E’ SOLO LA MIA OPINIONE: sono i dati a dirlo. Nei paesi in cui c’è maggiore fiducia nell’onestà dei propri concittadini le imprese sono più grandi. Il motivo è che un proprietario delega i suoi poteri solo quando si fida del dipendente, perché tanto più delega, quanto più è il rischio che un dipendente infedele ne approfitti: rubando o arricchendosi alle sue spalle. L’impossibilità di delegare dovuta alla mancanza di fiducia forza le imprese a rimanere piccole. Per questo non si espandono, per questo non vogliono cedere il controllo, che vale nel nostro paese molto di più che negli altri. La mancanza di fiducia diffusa impedisce anche i meccanismi di selezione meritocratica. Se temo che il manager sia infedele, scelgo il nipote, il parente, l’amico anche quando costoro sono meno competenti. Per questo la qualità dei manager non è sempre delle migliori: in Italia la fedeltà fa premio sulla competenza. Perché in Italia non ci si può fidare? Perché un sondaggio tra i manager dei principali paesi europei colloca quelli italiani all’ultimo posto nella classifica dei colleghi di cui ci si può fidare? Perché in Italia prevale la cultura della furbizia invece che quella dell’onestà. In Italia il conflitto di interessi è così diffuso da non essere neppure percepito come un problema, se non per motivi politici contro Berlusconi.
UN EX MANAGER di una grande azienda italiana mi raccontava fiero come grazie al suo ingegno fosse nato uno dei fornitori dell’azienda stessa. Ma come, lavorando per un’azienda regalava opportunità di investimento a dei fornitori? E cosa riceveva in cambio? E’ solo un caso che, licenziato dall’impresa per cui lavorava, quel manager sia finito a dirigere l’azienda fornitrice? La cosa più sorprendente era l’assenza di qualsiasi forma di rimorso nel suo racconto. Anzi c’era la fierezza di chi è stato più furbo. Nel lanciare la questione morale Berlinguer rivendicava la diversità del Partito comunista. La sua speranza era di cambiare l’Italia. Invece fu l’Italia a cambiare la diversità comunista. Lo stesso accadde dieci anni dopo con la Lega. Oggi ci riprova il MoVimento 5 Stelle. Fintantoché la questione morale rimane un pretesto per affermare la superiorità della propria parte politica, ogni riforma è destinata a fallire. Marce non sono solo le persone al potere, marcio è il sistema di valori. Ma è possibile cambiare un sistema di valori? Sì, se esiste una consapevolezza diffusa che questa amoralità non può più essere tollerata. In America le tensioni razziali degli anni Sessanta crearono la consapevolezza che il razzismo non poteva essere più tollerato. Ne seguì uno sforzo collettivo per sradicare questa malapianta. Oggi gli Stati Uniti hanno un presidente nero. Se la crisi economica che stiamo vivendo desse a tutti la consapevolezza che dobbiamo cambiare, questa crisi non sarebbe venuta invano