Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 12/6/2012, 12 giugno 2012
ALEMANNO VENDE CALTAGIRONE GUARDA
Sulla rissa, ennesima, che si è consumata ieri mattina tra i consiglieri comunali di Roma si sono intrecciati per tutto il pomeriggio commenti infuocati dei leader politici nazionali, dal segretario Pd Pier Luigi Bersani ai capi romani del Pdl come Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri. La posta in gioco è molto alta, e non solo perché l’Acea gestisce l’acquedotto e la rete di distribuzione elettrica della capitale, ed è anche socio industriale “privato” di numerose società idriche in giro per l’Italia. All’orizzonte ci sono anche le elezioni comunali del 2013, con le quali il centro-sinistra punta a riconquistare la poltrona simbolo del Campidoglio da quattro anni occupata dal postfascista Gianni Alemanno. C’è anche una partita di potere economico, con in palio il controllo dell’Acea, una società quotata in Borsa con un giro d’affari di 3,2 miliardi di euro. Alemanno vuole vendere il 21 per cento dell’Acea, di cui il comune di Roma detiene attualmente il 51 per cento. Incasserebbe circa 150-180 milioni di euro, vitali per rimpolpare il bilancio assai scassato del comune e per consentire al sindaco uscente di giocarsi la rielezione con qualche cartuccia in più per quelle spese elettorali che aiutano non poco.
La parziale privatizzazione dell’Acea serve anche, nell’immediato, a far quadrare il bilancio 2012 che deve essere approvato entro il 30 giugno. L’ostruzionismo del centro-sinistra è mirato a impedire il voto sul bilancio in tempo utile, aprendo così la strada al commissariamento e quindi all’uscita di scena di Alemanno prima del tempo.
Gli esegeti del pensiero del sindaco sono divisi. C’è chi lo descrive tentato dall’idea/ di farsi commissariare, per liberarsi di un fardello impegnativo: Alemanno sarebbe pronto a lasciare il Campidoglio facendo la vittima e a riproporsi sulla scena nazionale in vista delle politiche 2013. C’è invece chi, al contrario, descrive Alemanno convinto di poter rivincere nel 2013, sulla scorta di sondaggi e sensazioni fornite dal suo consigliere più ascoltato, l’ex sondaggista di Berlusconi Luigi Crespi.
Il destino dell’Acea è anche legato alle polemiche sulla privatizzazione dell’acqua, contro la quale si è espresso il referendum della primavera 2011. In realtà la multiutility capitolina è soggetta a obblighi di legge in conflitto tra loro. È ancora valido il decreto Ronchi che obbliga a privatizzare, perché in caso contrario l’Acea perderebbe la concessione per l’illuminazione pubblica della Capitale (ma sono solo 70 milioni di fatturato). Dall’altra parte il presidente della Provincia di Roma, il Pd Nicola Zingaretti, candidato sindaco per il centro-sinistra nel 2013, sostiene che, se Alemanno privatizza, l’Acea rischia di perdere l’affidamento del sistema idrico integrato della provincia di Roma. Questioni giuridiche complicatissime che nascondono un po’ goffamente una semplice contesa sul potere.
A proposito di potere, se Alemanno privatizza, poi chi comanda? Dopo il comune di Roma, i due maggiori azionisti sono il costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone, con il 15 per cento, e la multinazionale francese Gdf-Suez con l’11,5 per cento. Alemanno punta a vendere le azioni in piccole quote, in modo da impedire ai due soci di minoranza di fare man bassa e prendersi la società. In realtà nulla impedisce, una volta venduto il pacchetto del Comune, che qualcuno rastrelli le azioni e conquisti il controllo dell’Acea. Ma Caltagirone non ha bisogno di spendere altri soldi. Già oggi, anche grazie agli ottimi rapporti con Alemanno, all’Acea è difficile fare qualcosa contro la sua volontà. L’amministratore delegato, Marco Staderini, è sua espressione. E quando il sindaco ha cercato di far assumere all’Acea il suo portavoce Simone Turbolente, il potente e irascibile Caltagirone ha detto no.