Morya Longo, Il Sole 24 Ore 13/6/2012, 13 giugno 2012
L’EFFETTO-DOMINO IN EUROPA TRE «MINE» DA DISINNESCARE
«Ci hanno vietato di dirlo ai clienti, ma noi abbiamo già pronto un piano d’emergenza da azionare nell’eventualità che l’euro sparisca». Dietro le quinte, ma soprattutto dietro anonimato, il banchiere di uno dei principali istituti europei lo conferma: nessuno lo auspica, nessuno lo ritiene lo scenario più probabile, ma tutti si stanno preparando al peggio. E sarebbe incredibile se così non fosse: con l’ennesimo aiuto in extremis, quello deciso domenica per le banche spagnole, l’Europa si trova ormai senza quasi più reti di salvataggio (stanno per finire i soldi stanziati nei fondi salva-Stati) ma con problemi sempre maggiori.
Gli economisti sono infatti convinti che presto andrà salvato l’intero Stato spagnolo, non solo le sue banche. Temono che prima o poi, se lo stress sul mercato dovesse perdurare, anche l’Italia possa necessitare di sostegno. Guardano poi con apprensione alle elezioni in Grecia di domenica, senza escludere una sua uscita dall’euro. E hanno paura della recessione. Insomma: se l’Europa non si muove con un piano complessivo, che affronti il problema alla radice, l’effetto domino potrebbe diventare incontrollabile. Potrebbe partire dalla Spagna, dalla Grecia, dalla recessione. Oppure da tutti e tre contemporaneamente: sono queste le tre mine da disinnescare, per evitare che l’effetto domino vada a colpire tutta l’Europa.
Dalla Spagna all’Europa
La mina più recente è quella spagnola. Può infatti sembrare incredibile che le Borse e i titoli di Stato abbiano esasperato il crollo proprio dopo l’annunciato salvataggio delle banche iberiche, ma le modalità con cui sarà lanciato il salvagente a Madrid preoccupano più dei problemi che il salvagente stesso deve risolvere. Il primo nodo è che la Spagna, ricevendo i 100 miliardi per aiutare le sue banche, aumenterà il debito pubblico: un debito che alla fine del 2010 si attestava al 61,2% del Pil (in linea con i vecchi parametri di Maastricht), ora viaggia verso il 90-95% del Pil. C’è chi, come il Credit Suisse, lo stima al 106% del Pil nel 2014. Percentuale certo più bassa del 121% italiano, ma preoccupante per la dinamica: calcola Credit Suisse che a quel punto servirebbe una stretta fiscale pari al 9% del Pil solo per evitare ulteriori aumenti del debito.
Questa prospettiva penalizza i titoli di Stato spagnoli: scendono i prezzi, salgono i rendimenti. E questo di conseguenza penalizza le banche iberiche, che da novembre ad aprile hanno comprato circa 90 miliardi di euro di titoli di Stato locali portando il totale nel loro bilancio a 261 miliardi (dati Bce). Ovvia la conseguenza: come minimo d’ora in avanti le banche ridurranno gli acquisti di nuovi titoli di Stato spagnoli. E questo è un ulteriore problema: gli istituti iberici sono ormai i principali acquirenti di titoli di Stato di Madrid (ormai solo il 37,5% del debito spagnolo, stima Morgan Stanley, è fuori dai confini nazionali). Se anche le banche di "casa" riducessero gli acquisti, dunque, il Governo rischierebbe di faticare a rifinanziare il debito.
Ecco perché tanti economisti sono convinti che presto o tardi sarà il Governo spagnolo a necessitare di aiuti. Le stime sono le più disparate (350 miliardi totali secondo JP Morgan), ma tutte giungono alla stessa conclusione: se questo accadesse, i soldi esistenti nei due fondi salva-Stati (chiamati Efsf e Esm) finirebbero. Insomma: non resterebbe nulla per l’Italia o per altri. Ecco perché il domino (o meglio, la paura) ora colpisce proprio l’Italia. Ecco perché a crollare sono anche i BTp e le banche (piene in bilancio di BTp): si trovano improvvisamente nella bufera e senza protezioni.
Ma c’è dell’altro. Se l’aiuto alle banche spagnole arrivasse dal "vecchio" fondo salva-Stati (Efsf), aumenterebbero pro-quota i debiti pubblici di tutti gli Stati europei. Italia inclusa. Calcola Citigroup che, anche a causa della recessione, il debito del nostro Paese potrebbe raggiungere il 137% nel 2014. Se invece l’aiuto arrivasse dal "nuovo" fondo salva-Stati (Esm), il problema sarebbe un altro: il debito della Spagna verso questo fondo sarebbe sovraordinato rispetto ai debiti verso gli investitori. Questo significa che se la Spagna un giorno andasse in default, gli investitori sarebbero rimborsati dopo il fondo Esm. Ovvia la conseguenza: gli investitori trovano sempre meno appetibili i bond spagnoli. E, di conseguenza, anche quelli italiani che potrebbero – ai loro occhi – trovarsi un giorno nella stessa situazione. Questo è l’effetto domino: comunque vada il salvataggio della Spagna, l’Italia rischia di uscirne penalizzata. «Ci aspettiamo che l’Italia avrà bisogno di aiuto», scrivono gli economisti di Citigroup. Peccato che non ci sono i soldi. E che il domino colpirebbe poi l’Europa intera.
Grecia e recessione
Ci sono poi altre due mine vaganti. La prima è Atene. Domenica il popolo greco andrà a votare e se emergesse una maggioranza anti-austerità, il rischio è che la Grecia prima o poi sia costretta ad abbandonare l’euro. Questo creerebbe un precedente inimmaginabile: fino ad oggi non è mai esistita la possibilità, neppure tecnica, che un Paese abbandoni la valuta europea. Se la Grecia trovasse il modo per farlo, gli investitori sarebbero autorizzati a pensare che anche altri Stati potrebbero seguirne le orme. Non importa quanto questa ipotesi sia concreta oppure no. Importa il suo effetto psicologico: gli investitori internazionali sarebbero indotti a ritirare i depositi dalle banche dei Paesi deboli, temendo di ritrovarseli un giorno in lire o pesetas. In Spagna è già realtà: nei primi tre mesi dell’anno sono usciti dalle banche 97 miliardi di euro. In Italia (si veda il grafico sopra) ancora no. Ma se l’emorragia continuasse, sarebbero necessari aiuti ulteriori: ma i soldi, come detto, scarseggiano.
Ad aggravare tutto c’è poi la recessione. Da un lato aumenta la disoccupazione, il disagio sociale, i fallimenti aziendali, i crediti dubbi delle banche. Dall’altro riduce le entrate fiscali degli Stati, peggiorando i loro indicatori economici. Ma, soprattutto, aumenta il gap che esiste tra la Germania e i Paesi più deboli. Gap che, a ben guardare, è iniziato con la nascita dell’euro: se si confronta per esempio la produzione industriale italiana con quella tedesca (si veda grafico a fianco), si scopre che dalla nascita dell’euro l’Italia ha perso circa 25 punti percentuali (usando il 2000 come base di partenza) mentre la Germania ne ha guadagnati circa 15. Non solo. In Italia l’energia costa 70 euro mwh, in Germania 47,7. In Italia le imprese si finanziano a tassi molto più alti di quelle tedesche. Insomma: il gap è così ampio, che un Paese come l’Italia (ma non solo) faticherà a recuperare competitività. E questo non fa altro che peggiorare la situazione. E la paura del domino.