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 2012  giugno 12 Martedì calendario

Verlaine&C, in galera si scrive meglio - Quelli che in galera non misero mai piede, an­che se magari la rischia­rono, tipo l’insospetta­bile Proust (prosciolto seduta stante quantunque pizzicato in una casa-casino per omosessua­li), la galera se la costruirono da so­li: una stanza foderata di sughero (proprio il fragile Marcel), un te­tro ufficetto (Pessoa), la scrivania alla quale farsi letteralmente lega­re (Vittorio Alfieri, sbertucciato dai contemporanei e da genera­zioni e generazioni di liceali a se­guire)

Verlaine&C, in galera si scrive meglio - Quelli che in galera non misero mai piede, an­che se magari la rischia­rono, tipo l’insospetta­bile Proust (prosciolto seduta stante quantunque pizzicato in una casa-casino per omosessua­li), la galera se la costruirono da so­li: una stanza foderata di sughero (proprio il fragile Marcel), un te­tro ufficetto (Pessoa), la scrivania alla quale farsi letteralmente lega­re (Vittorio Alfieri, sbertucciato dai contemporanei e da genera­zioni e generazioni di liceali a se­guire)... Quelli che invece «al gabbio» ri­siedettero, per pochi giorni o per anni, dovettero, come tutti i loro compagni di disavventura, inven­tarsi una nuova vita, o facendo le­gna come Giono, o dando lezioni come Solzenicyn, o scrivendo let­tere per conto di qualcuno il quale faceva i conti, oltre che con la re­strizione fisica, anche con la restri­zione tipica dell’illetterato se non proprio dell’analfabeta. È il caso di Ezra Pound, del sulfureo e in­gombrante (anche e soprattutto per i suoi sodali) Pound, letteral­mente ingabbiato come bestia da zoo in quel di Pisa, e tuttavia in gra­do di sfruttare il... riposo forzato per mettere nero su bianco alcu­ne ideuzze non proprio all’acqua di rose. All’acqua di rose, per alcuni scrittori, non furono nemmeno certi amori, o almeno certi matri­moni. Ce lo ricorda Daria Galate­ria nella sua galleria-galera dal ti­tolo, di doppia lettura, Scritti gale­otti , opportunamente riproposto ora, con radicali aggiornamenti ri­spetto all’edizione Rai Eri del 2000, da Sellerio (pagg. 306, euro 14). Doppia lettura in quanto que­gli scritti furono galeotti perché materialmente nati dietro le sbar­re, e anche perché, alla maniera di Dante, furono «galeotti» nel sen­so di... ruffiani, lenoni, opportuni­sti e opportuni procacciatori di storie e di trame. L’uxoricidio, dunque, va per la maggiore. Verlaine e Burroughs, Mailer e Fallada ne sono i campio­ni­incontrastati, fuoriclasse del de­litto più o meno passionale. Le si­gnore in questione ormai non so­no più, per loro, nel novero dei te­ste a carico, mentre noi, assiepati tra il pubblico, abbiamo almeno il privilegio di apprendere come an­darono le cose... Donne a parte,certo Jean Cocte­au esagerava un po’, come suo so­lito, ma, rivolgendosi all’editore Denoël disse una mezza verità (facciamo anche tre quarti di veri­tà): «Genet è sempre vissuto in pri­gione. Dunque, è libero». Fra i sog­getti preferiti di Michel Foucault per il suo Sorvegliare e punire , Ge­net è infatti il recordman fra gli avanzi di galera letterari. Brefotro­fi, colonie penitenziarie per bam­bini, residenze obbligate, campi di concentramento e di deporta­zione, carceri «normali» furono i suoi habitat d’elezione. Del resto, i 43 casi esemplari pro­posti da Galateria con una prosa in cui abilmente si mescolano le tinte del resocon­to giudiziario e del memoir , dello schizzo biografico e dell’arringa di­fensiva, servono a delineare una sor­ta d­i estetica carce­raria in funzione letteraria. «Anche il delitto ormai può avere la pro­pria vanità», di­chiarò il pubblico ministero durante il processo a Pier­re François Lace­naire, ladro falsa­rio e assassino, ol­tre che modello del malvivente col­to e dandy e, conse­guentemente, pri­ma di finire ghi­gliottinato il 9 gennaio 1836, auto­re di quelle Memorie oggi merite­voli di­un posto in primo piano nel­l’ipotetica bibliografia sul roman­zo criminale abbondantemente pre-De Cataldo,pre-Sollima e pre-Placido. Altra stoffa, infatti, ebbero, ri­spetto ai borgatari che ben cono­sciamo, i vari Casanova e We­dekind, Fitzgerald e Havel, Steven­son e Truffaut. Altra stoffa, pur grezza e popolana, annaffiata di lambrusco e cresciuta a fette di salame, ebbe Giovannino Guare­schi, che passò dal la­ger al carcere di San Francesco a Parma por­tandosi dietro lo stesso zaino e lo stesso disin­canto. Altra stoffa quel­la di Louise Michel, la pétroleuse , l’incendia­ria comunarda la qua­le, contro gli amori inte­ressati o mercenari sca­gliò un aforisma cru­do, autocritico e incon­trovertibile: «L’amore, almeno, è idiota». Sen­za patria, conobbe le patrie gale­re, e non le andarono a genio. Non andarono a genio nemme­no a Chester Himes, che le fre­quentò per via di una rapina a ma­no armata ma se ne servì per scri­vere Rabbia ad Harlem . Negli an­ni ’70 gli chiesero in un’intervista come fosse diventato scrittore. «Avevo un sacco di tempo», rispo­se, e poi,dietro le sbarre«i sogni di­ventano grandi come sequoie».