Filippo Ceccarelli, la Repubblica 13/6/2012, 13 giugno 2012
“GAY IN NAZIONALE? MEGLIO DI NO” COSÌ CASSANO FA UN AUTOGOL
«SONO froci? Problemi loro...». Richiesto di un parere su una risoluta valutazione contabile resa da Cecchi Paone a proposito dei presunti gay in maglia azzurra, ma un po’ anche sentendosi legittimamente elevato al rango di opinion maker, il calciatore- showman Antonio Cassano ha fatto ricorso alla diplomazia e dopo essersi preso la testa fra le mani, con il più allegro dei sorrisi ha insistito: «Sono froci,
se la vedessero loro...».
Ora, la conta dei gay nel governo, in Parlamento, nelle arti, in Vaticano e nello sport è ormai una pratica piuttosto diffusa e ricorrente nell’immaginario mediatico e chiacchieristico di questi tempi. Ma la formula scelta da Cassano, che già sgorgava ambigua nella sua ruspante e conclamata astuzia («me la sbrigo così, sennò mi attaccano da tutte le parti»), avrebbe dovuto tenere insieme un atavico disprezzo («froci ») e un giudizio a suo modo modernizzante e molto a suo modo perfino liberale («problemi loro
»). Nessuno d’altra parte poteva aspettarsi che l’attaccante della Nazionale aprisse al
politically correct
o che al contrario si richiamasse all’omosessualità come al peccato impuro contro natura che grida vendetta al cospetto di Dio.
Sta di fatto che la sua selvatica mediazione non è bastata, come stanno a dimostrare le immediate proteste dei movimenti gay. Uno dei quali, tuttavia, l’Arcigay, ha invocato e prenotato un Cassano a farsi in futuro testimonial contro l’omofobia — il che pare francamente impossibile, se non eccessivo, almeno considerata la conclusione: «Froci in squadra?
Speriamo di no».
Ma nelle condizioni date altre davvero erano le priorità, per lo più spettacolari; e quindi le polemiche dei movimenti, le successive confessioni di Cecchi Paone (a tratti ingiustamente confuso con Cecchi Gori) sui suoi amori calcistici e soprattutto l’exploit di Cassano si bruceranno rapidamente sull’altare delle visioni a distanza, anche grazie a uno straordinario video in cui con aria perfettamente consapevole e luccicanti orecchini, ripetuti anelli e ritti capelli di gel, egli si fa teatro e ride, ammicca e gesticola tra gli sghignazzi della invisibile platea. Salvo poi emettere un asettico comunicato: non volevo offendere. Cinquant’anni orsono, quando girava la sua inchiesta sugli italiani e il sesso uscita nel 1963 con il titolo «
Comizi d’amore
», Pier Paolo Pasolini volle intervistare sull’argomento i calciatori del Bologna. Sono immagini in bianco e nero (http://video. repubblica. it/copertina/bulgarelli-e-pasolini/ 29397/29951) che mettendo in scena le timidezze, i timori, le ritrosie e i silenzi di quei giovanotti dicono molto sul passato dell’Italia, ma forse altrettanto sul suo presente. Ieri oppressione, oggi sgangherato tripudio, in mezzo le attese, le fatiche e i dubbi di ciascuno.
Come spesso accade, anche se è inutile e a volte pure retorico, viene da chiedersi cosa avrebbe pensato Pasolini di quel video in cui Cassano parlava avendo sulla testa, a fianco e dietro le spalle la più fitta galleria di marchi di aziende e davanti, sul monitor luminoso, pure le stesse immagini intermittenti. Un uomo assediato dai segni del consumo — e non è caso di dire «se la vedesse lui», perché questo in realtà riguarda tutti, a prescindere dai goal e dai
gusti sessuali.