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 2012  giugno 13 Mercoledì calendario

L’Unione economica e monetaria europea (Uem) non avrebbe potuto prepararsi in modo peggiore ai tre appuntamenti che, nei prossimi giorni, condizioneranno le decisioni del Consiglio europeo di fine mese e segneranno, così, il destino della moneta comune: le votazioni in Grecia, il G20 a Los Cabos e l’incontro fra i leader dei quattro maggiori Paesi dell’Uem a Roma

L’Unione economica e monetaria europea (Uem) non avrebbe potuto prepararsi in modo peggiore ai tre appuntamenti che, nei prossimi giorni, condizioneranno le decisioni del Consiglio europeo di fine mese e segneranno, così, il destino della moneta comune: le votazioni in Grecia, il G20 a Los Cabos e l’incontro fra i leader dei quattro maggiori Paesi dell’Uem a Roma. La scelta europea di utilizzare uno dei meccanismi «salva Stati», per concedere fino a 100 miliardi di euro di prestiti al fondo spagnolo di ristrutturazione delle banche ha infatti modalità indefinite di attuazione, aggrava i bilanci pubblici della Spagna e — in misura indiretta — degli altri Stati membri, non facilita la collocazione dei titoli di debito dei Paesi periferici. Per giunta, essa non garantisce appropriate ricapitalizzazioni e ristrutturazioni delle banche spagnole in difficoltà. Non è quindi sorprendente che, diversamente dai due finanziamenti a medio termine concessi dalla Banca centrale europea (Bce) al settore bancario dell’area (Ltro), tale scelta non sia riuscita a «comprare» quella fase di tregua che avrebbe aiutato sia la popolazione greca a votare a favore dell’euro sia l’Uem a varare interventi strutturali. Al punto in cui siamo, la salvezza della moneta unica impone due mosse: in via immediata, un congruo impegno ad acquistare vecchi e nuovi titoli del debito pubblico degli Stati membri in difficoltà da parte dei meccanismi europei «salva Stati», cui va assicurato l’accesso ai finanziamenti della Bce; nel breve periodo, la costruzione di strumenti solidaristici per la gestione del debito sovrano dei Paesi dell’Uem (eurobond), bilanciata da un trasferimento della sovranità nazionale in materia di politiche fiscali. La prima mossa serve solo a imporre un temporaneo tetto ai divari di rendimento fra i titoli pubblici dell’area e a rompere il circolo vizioso fra crisi del debito e crisi bancaria; in poche parole, serve a «comprare» il tempo richiesto per l’attuazione della seconda mossa. Quest’ultima incontra un doppio veto: quello della Germania, che non intende fornire garanzie sui debiti pubblici altrui; e quello della Francia, che non intende cedere parti della propria sovranità nazionale. L’emergenza offre, però, un’irripetibile opportunità per rimuovere un veto con l’altro senza che i due protagonisti si sentano sconfitti. Sotto il profilo tecnico, il Consiglio europeo di fine giugno potrebbe avviare l’unificazione fiscale e varare gli eurobond mediante un semplice addendum ai Trattati sul fiscal compact e sul meccanismo permanente «salva Stati» (Esm), varati nel marzo scorso. Si aprirebbero così spazi per altri interventi di breve e medio periodo: nel breve periodo, il rilancio della domanda aggregata mediante incrementi nelle modeste passività del bilancio europeo (project bond); nel medio periodo, il rafforzamento della vigilanza europea sul settore bancario e la contestuale costruzione di fondi di garanzia europei per i depositi e per il salvataggio di banche con impatto sistemico, riforme per il rilancio della produttività e della competitività nei Paesi più fragili, la costruzione di un welfare più efficace.