Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 12/06/2012, 12 giugno 2012
LA RIVOLTA DI MASTRONARDI NELL’ITALIA DEL BOOM
La bellissima biografia di Lucio Mastronardi, scritta da Riccardo De Gennaro e intitolata La rivolta impossibile (Ediesse), è una biografia dell’Italia anni 50 e 60 narrata dalla provincia ricca del Nord. Mastronardi, l’autore del Maestro di Vigevano, è uno di quegli scrittori asociali che, come Luciano Bianciardi e pochi altri, hanno raccontato la trasformazione antropologica dalla società contadina al cosiddetto «miracolo economico»: la povertà, il boom, il benessere, la corsa al consumo senza sviluppo culturale. Mastronardi ne è stato il narratore arrabbiato e anche la vittima che, per una sua forma di insofferenza a tutto, si gettò nel fiume Ticino il 24 aprile 1979, scegliendo la morte esattamente come Bianciardi aveva scelto l’alcol che lo stroncò otto anni prima (la biografia parallela dello scrittore toscano è quella scritta di Pino Corrias).
I suicidi sono tutti diversi: hanno ragioni insondabili che come tali vanno sempre rispettate. Emilio Salgari, Cesare Pavese, Primo Levi, Guido Morselli, Amelia Rosselli, Franco Lucentini… Per non ricordare che alcuni italiani. Ma in genere il coraggio disperato del gesto conclusivo regala beffardamente a chi decide di farla finita un’aura mitica. Mastronardi non ebbe neanche questo privilegio postumo. Dimenticato è dir poco. Eppure cominciò a pubblicare sotto l’egida einaudiana, molto promettente, di Vittorini e Calvino. Che del Maestro ammirerà la «forza poetica», «una forza di disperazione, una visione assolutamente nera dell’umanità, che riesce a diventare visione poetica». Per Contini, il primo libro, Il calzolaio di Vigevano, uscito nel ’62, è una specie di Nausea subalpina.
La nausea c’è tutta, non solo nell’opera, ma anche nella vita di Mastronardi. Nausea e rabbia anarcoide per la sua città (di cui diceva di amare solo la piazza e il fiume in cui si sarebbe gettato) e per l’ascesa sociale di tanti umili ciabattini diventati scarpari «sfruttatori di umili»: una volta abbandonò una riunione di Lotta continua urlando: «Voi non avete capito niente, la rivoluzione non ci sarà mai perché gli operai vogliono diventare borghesi». A differenza di Bianciardi, Lucio non tentò neanche la fuga dalla prigione della provincia e così finì per rimanere prigioniero anche di se stesso. È ciò che, dopo i primi tre libri, gli rimproverava severamente Calvino quando riceveva i suoi racconti: il non riuscire a dare spessore visionario e grottesco alla confessione privata. Da un lato Mastronardi non trovava più la vena del passato, dall’altro si sentiva probabilmente abbandonato dai suoi stessi estimatori e amici. A Guido Davico Bonino, nel ’66, scrisse che la gran parte degli editori «non crede per niente nella letteratura, non crede negli scrittori, non crede in niente fuorché nel commercio e negli affari». Era un modo per non accettare l’evidenza del proprio calo creativo, ma anche una denuncia a futura memoria.
Paolo Di Stefano