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 2012  giugno 12 Martedì calendario

IL CRAC DELLA REGINA DEL LISTINO E LE COMMISSIONI D’ORO DA RESTITUIRE

Ora magari potrebbero restituire quei soldi. Potrebbero versarli, goccia nell’oceano, fra i cento miliardi di euro dei contribuenti europei che serviranno alla Spagna per sostenere le sue banche dal fallimento in serie.
Questa è la storia di una delle quotazioni in Borsa più bizzarre di tutti i tempi e di come alcune grandi banche europee e di Wall Street, da Deutsche Bank a Jp Morgan, passando per Unicredit e Mediobanca, ne hanno estratto un congruo guadagno. In tutto 145,9 milioni di euro per sé, a fronte di una distruzione di ricchezza di 2,2 miliardi di euro per casalinghe, disoccupati, operai e ceto medio più o meno sopravvissuto alla crisi: tutti investitori colpevoli di avere avuto un conto aperto presso Bankia nel momento sbagliato.
Il momento sbagliato è il 20 luglio scorso, quando fa il suo debutto alla Borsa di Madrid un nuovo gruppo bancario sul quale molti dei tecnici del settore mettono la mano sul fuoco. È sicuramente forte e risanato e il suo nome, nuovo di zecca, è Bankia. L’istituto è il frutto della fusione di varie casse di risparmio piegate dalla bolla immobiliare (fra loro Caja Madrid e quelle delle Canarie, di Avila e di Segovia), molte debolezze sommate nell’illusione di farne una forza. Presidente del gruppo all’epoca è Rodrigo Rato, ex ministro delle Finanze conservatore ed ex direttore del Fondo monetario internazionale; consigliere delegato è Francisco Verdú Pons, il «banchiere poeta» la cui ultima raccolta di versi s’intitola Alçar la mirada, «Alzare lo sguardo».
Verdú e Rato alzano lo sguardo sulla Borsa, con l’idea di vendere quote di minoranza per circa cinque miliardi di euro. Per l’intero establishment iberico, dall’allora premier José Luis Zapatero al governatore Miguel Angel Ordonez, la quotazione di Bankia diventa un simbolo: deve dimostrare al mondo che il Regno è in grado di affrontare e superare il problema delle banche con gli strumenti del mercato. Peccato che il mercato internazionale ne dubiti. Quando gli istituti incaricati di curare la quotazione si rivolgono ai grandi investitori a Londra o a Francoforte, trovano solo porte chiuse. Non che la squadra dei traghettatori di Bankia in Borsa sia piccola o di second’ordine. Gli istituti che accettano di garantire la sottoscrizione delle azioni, i cosiddetti coordinatori globali, vengono dall’élite della finanza: ci sono Bank of America-Merrill Lynch, Deutsche Bank, JP Morgan, Ubs, Barclays, Bnp Paribas; l’advisor principale è Lazard; e fra le banche incaricate di raccogliere gli ordini dei potenziali investitori, un ruolo importante anche se un po’ di secondo piano e meno remunerativo, figurano anche le italiane Unicredit e Mediobanca.
Quando questa cordata di banchieri torna da Rato senza investitori esteri, parte la fase due della quotazione: la caccia disperata ai piccoli risparmiatori spagnoli. A ogni direttore di filiale di Bankia viene ingiunto di trovare un alto numero di sottoscrittori fra i propri clienti, i familiari, le fidanzate e gli amici; non mancano i casi di impiegati delle filiali che sottoscrivono loro stessi pur di arrivare alla somma richiesta. Spot in tivù e alla radio martellano gli spagnoli sull’imperdibile esordio in Borsa di Bankia. Ma né le inserzioni né le banche coinvolte spiegano che i mutui non sono stimati a bilancio al loro (minimo) valore reale e certe operazioni immobiliari sono presentate come prestiti a imprese per farle sembrare meno sospette.
È così che Bankia nell’estate 2011 raccoglie dai piccoli depositanti 3,09 miliardi di euro (solo il 4% dall’estero). All’ultimo momento le banche curatrici tagliano il valore d’esordio del titolo da 4,5-5 euro a 3,75, perché i dubbi sono diffusi. Undici mesi dopo, Bankia è già crollata in Borsa del 72% e ora ha bisogno di un salvataggio da 19 miliardi dall’Europa. È una banca nata fallita. Ciò non impedisce all’élite della finanza internazionale di incassare 145,9 milioni di euro per averne venduto le azioni al ceto medio spagnolo. Rato e il banchiere-poeta Verdú incassano un milione ciascuno. E se ora banche e banchieri restituissero tutto al fondo salvataggi, il senso di decenza ne uscirebbe (almeno quello) un po’ meno a pezzi.
Federico Fubini