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 2012  giugno 12 Martedì calendario

ORA LA SUORA ARRIVA CON L’AEREO IN ITALIA 7 SU 10 SONO STRANIERE


Imuri antichi, qui nella Casa generalizia delle suore Domenicane di Santa Caterina da Siena, tengono lontano ogni rumore. «I numeri? Lei vuole sapere quante suore ci sono ancora in Italia e soprattutto quante sono le straniere… Ma un dono dello Spirito non si racconta con la statistica. Lo Spirito suscita le vocazione dove, come e quando vuole». Madre Viviana Ballarin, presidente dell’Usmi (Unione delle Superiore maggiori d’Italia) prima protesta con molto garbo poi apre il suo computer. «Ecco il dato che racconta come stiano cambiando i conventi femminili in Italia: in questo momento abbiamo 967 novizie: solo 288 sono italiane, 679 sono arrivate da altri Paesi. Dalle Filippine, dall’Asia, dall’America latina… ». Sette suore su dieci arrivano dunque da quelle parti di mondo verso le quali fino a pochi anni fa partivano le missionarie italiane. E secondo i dati del Cum di Verona (Centro unitario per la Cooperazione missionaria tra le Chiese) le consacrate non italiane che svolgono servizio pastorale in Italia sono più numerose (8.736) delle religiose italiane (8.030) impegnate nelle missioni oltre confine.
Le aspiranti novizie, un tempo, si presentavano al convento all’alba, accompagnate dalla madre che le consegnava alla Superiora, dopo un abbraccio che era quasi un addio. Adesso le aspiranti suore arrivano in aereo, voli Non Shengen, per cercare di riempire conventi e monasteri
sempre più deserti. Nel
1988 le religiose italiane erano 121.183, nel 2001 era scese a 81.916. «Adesso — racconta madre Viviana Ballarin, che è la coordinatrice di tutte le suore italiane — nelle conferenze io dico sempre che siamo circa 70.000, ma forse sono un po’ ottimista ». Contare le suore è come contare le rondini, difficilissimo avere numeri certi. Ma secondo la “Congregazione degli istituti di vita consacrata e società di vita apostolica” della Santa Sede, le suore italiane sarebbero oggi 34.240 e arriverebbero a 42.976 contando anche le straniere impegnate nel nostro Paese.
Non sempre le giovani sorelle arrivate da lontano trovano ciò che cercano. Suore partite dal Ghana per entrare in un monastero di clausura sono invece state impegnate come badanti di suore anziane, novizie chiamate per motivi di studio sono diventate assistenti e infermiere in una casa di riposo. Tre suore
missionarie di Santa Gemma — racconta l’agenzia Adista — inviate nel 2007 nella diocesi di Albano per essere impegnate nella catechesi e nella pastorale giovanile sono state mandate via dal vescovo per non avere accettato di fare le colf a due anziani sacerdoti. Stipendio promesso: 800 euro al mese, da dividere in tre. E la sorella che rinuncia ai voti, in un attimo — è successo a Torino — si ritrova clandestina. Il permesso per culto, una volta lasciato il convento, non è valido per il lavoro. La polemica sulle suore straniere ha radici lontane. Già nel 1994 i vescovi delle Filippine hanno denunciato “l’invasione italiana”: 87 congregazioni straniere femminili e 32 maschili, in gran parte italiane, avevano aperto filiali a Manila per “reclutare nuove leve”.
Ora che l’Italia è diventata a sua volta terra di missione, la discussione fra le Congregazioni (erano 645 nel 1988, oggi quelle iscritte all’Usmi sono 545) certo non manca. «Lo ripeto, è Dio — dice madre Viviana Ballarin — che decide dove fare nascere le vocazioni. Nel secolo scorso le “chiamate” arrivavano nella nostra terra, e le religiose italiane hanno costruito il welfare italiano. Ora le vocazioni nascono in Asia, Africa, nell’America Latina,
non ancora distrutte dal modernismo. Noi pensiamo che prima di aprire la nostra porta a chi bussa sia necessario accertare l’autenticità della vocazione, perché non può essere la povertà a spingere verso i conventi. E come Usmi diciamo che le novizie possono venire in Italia per consolidare la loro formazione ma poi debbono prestare servizio nel loro Paese».
Qualcosa sta cambiando, nel mondo delle suore. Ad Assisi, la superiore generale delle suore del Giglio arriva dallo Zambia, le Domenicane della beata Imelda sono guidate da una brasiliana. Ma in tante cliniche, scuole materne o case di riposo la “manodopera” arriva da altri continenti. «Se non si hanno le forze per
mantenere aperte le opere di assistenza — dice madre Ballarin — vanno chiuse. Fare venire le sorelle da altri Paesi non piace a Dio. Tornino là dove c’è bisogno. Se nelle nostre congregazioni c’è bisogno di maestre, assistenti e infermieri si assumano persone non consacrate, così si dà anche una mano contro la crisi. Ho detto a una madre generale: se avete vocazioni nelle Filippine, aprite là le vostre opere. E lei mi ha risposto: e io in Italia come vado avanti?».
Si chiudono scuole e ospedali, ma si aprono nuove comunità: le suore sono impegnate nell’incontro con gli immigrati, nelle carceri, nella case famiglia. «Se femminismo significa essere se stesse, noi siamo femministe. E
dobbiamo smetterla di metterci, da sole, un gradino sotto il clero. Basta con “reverendo padre”, “reverendo monsignore”… Se chiudi un asilo o una scuola, i preti e i vescovi protestano. Se non hai più le forze per tenere aperta una casa di riposo per suore invalide, nessuno si interessa. Alle mie sorelle dico: siete laureate, teologhe, psicologhe. Fatevi avanti, fatevi sentire».
Il Cottolengo di Torino è forse l’emblema della crisi delle sorelle con il velo. Negli anni ‘50 nella congregazione suore S. G. B. Cottolengo, nata nel 1830, c’erano 7.000 sorelle, tutte italiane. Ora sono 1.500 e 600 di loro sono nell’istituto torinese. «Ma 400 su 600 — dice suor Elda Pizzuto, vicaria della madre generale — sono troppo anziane o ammalate. In servizio attivo siamo solo 200. Per fortuna ci sono i volontari laici e anche cooperative di dipendenti. Da noi le sorelle straniere, di cui avremmo bisogno come del pane, vengono per la formazione, poi tornano nei loro Paesi. E così ogni anno chiudiamo sei o sette case in Italia e ne apriamo tre o quattro in Africa o Asia. Non hanno bisogno di prendere un aereo, le sorelle dei Paesi poveri, per trovare i bisognosi, i ma-lati, i deboli, cui fare del bene».