Fabio Tonacci, la Repubblica 12/6/2012, 12 giugno 2012
QUEL COLOSSO DA TRE MILIARDI DI EURO CHE FA GOLA A IMPRESE E MULTINAZIONALI
ROMA— È una decisione che, se alla fine verrà presa, va in direzione ostinata e contraria a quello che volevano 27 milioni di italiani. I cittadini che il 12 e 13 luglio 2011 hanno votato sì (95,35 per cento) al referendum sulla ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. Insomma, perché l’acqua sia gestita non da privati ma da società pubbliche senza l’obbligo di profitto. Ma il futuro elettorale del sindaco di Roma Gianni Alemanno passa anche dal futuro di Acea, o meglio dai soldi che l’amministrazione incasserà dalla vendita del 21 per cento di azioni del colosso multiservizi.
Il Gruppo Acea è il principale operatore nazionale nel settore idrico, con un bacino di utenza di oltre 8 milioni di abitanti. Con le sue società controllate gestisce acquedotti, fognature, impianti di depurazione non solo a Roma e Frosinone, ma anche a Pisa, Firenze, Perugia, Arezzo, Siena. La quota di maggioranza del capitale, il 51 per cento, è in mano a Roma Capitale. Ad essa si affiancano due privati di peso, l’azienda francese Gdf Suez con l’11,5 per cento e l’imprenditore italiano Francesco Gaetano Caltagirone con il 15 per cento. Negli anni d’oro dal 2004 al 2008 Acea ha pompato utili nelle casse del comune per più di 400 milioni di euro. Oggi, con la crisi, gli utili complessivi si sono ridotti a circa 60 milioni. Perché perderne il controllo, dunque?
Con un testo di appena 6 righe, la famigerata delibera 32 che l’opposizione ha definito «incostituzionale » perché usurpatrice di prerogative consiliari, Alemanno vuole imporre al consiglio comunale
la cessione in borsa di parte della quota, attestandosi al 30 per cento. Nei piani di Alemanno c’è l’intenzione di vendere il 21 per cento alla Cassa depositi e prestiti e ricavare 200 milioni di euro, scesi però nelle ultime settimane a circa 170 milioni a causa del crollo del titolo in borsa (oggi è intorno a 4 euro ad azione, negli anni scorsi era arrivato a 16). Soldi che al Campidoglio hanno già indirizzato: 160 milioni finanzieranno lavori di ampliamento della metropolitana, 40 sono destinati alla ordinaria manutenzione urbana, come il rifacimento delle strade. «E come si fa a non vedere un fine puramente pre-elettorale? — ragiona il deputato romano del Pd Marco Causi — Alemanno
ora svende la quota in Acea per racimolare quei milioni che gli serviranno per tirare la volata elettorale del prossimo anno. Un suicidio per le casse del Campidoglio». Inoltre, se come sembra non sarà scorporato il servizio idrico, i sindaci che hanno contratti con Acea potrebbero anche avviarsi alla rescissione, trovandosi davanti un’azienda dal “dna” societario ribaltato rispetto al momento dell’affidamento.
La giunta romana sostiene di essere obbligata a ridurre la propria partecipazione al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e al 30 entro il 2015 in base a una interpretazione del decreto 138 del governo Berlusconi, emanato il 13 agosto scorso. Ma il sottosegretario
allo Sviluppo Claudio De Vicenti ha sconfessato quella lettura: «L’unico obbligo che ha il comune di Roma è di mettere a gara il servizio di illuminazione pubblica ». Un contratto che al momento vale 50 milioni fino al 2027. Opportunità economica a parte, qui chi ne esce con le ossa frantumante è ancora una volta l’esito del referendum del giugno scorso. A un anno dal voto solo l’Ato di Belluno ha effettivamente tolto dalla bolletta quel ricarico del 7 per cento a remunerazione del capitale investito, come imponeva il secondo quesito. E solo a Napoli si è passati da una spa pubblica a un ente di diritto pubblico
senza obblighi di profitto. In tutto il resto della penisola niente si è mosso, le tariffe sono anzi aumentate. «Se anche Acea diventerà una spa a maggioranza privata — spiega Paolo Carsetti, del forum italiano dei Movimenti per l’Acqua — il referendum sarà tradito. A Cremona è stata tentata un’operazione simile ad Acea. Non solo. All’Autorità per l’Energia e il gas, a cui è stato dato il mandato per riformare il sistema tariffario dell’acqua, c’è allo studio un documento che reintroduce un “costo di immobilizzazione sul capitale” per le società. In pratica si reintroduce quel margine di profitto abrogato dal referendum ». Abrogato solo in teoria.