Giampaolo Visetti, Affari & Finanza, La Repubblica, 11/6/2012, 11 giugno 2012
FAR EAST
Anche la Cina ha avviato il suo piano di stimoli per proteggere la propria economia dalla crisi importata dall’Europa. Rispetto al 2008, quando Pechino si salvò stanziando 585 miliardi di dollari, si notano due differenze essenziali: la prima è che il governo ha aperto il rubinetto senza fare proclami, la seconda è che per ora l’acqua disponibile è sensibilmente di meno. Le autorità cinesi, in attesa delle elezioni in Grecia, hanno scelto di non fare annunci per non alimentare eccessive speranze nella zona euro, che non deve illudersi si trovare in Oriente un altro salvagente. L’iniziale freno imposto allo stanziamento dei fondi pubblici è dovuto invece alla paura di contrarre una montagna di debiti, come accaduto tre anni fa, e di stimolare la corsa dell’inflazione. Nonostante la prudenza, i segnali che il Dragone ha allentato i cordoni della borsa sono però chiari. Nei primi quattro mesi del 2012 il governo ha approvato 868 grandi progetti di investimento, rispetto ai 363 del 2011. In aprile i via libera sono stati 254, contro i 74 dello stesso mese dell’anno scorso. Gli analisti stimano che per non smettere di crescere tra il 7 e l’8% annuo, Pechino stanzierà infine tra i mille e duemila miliardi di yuan, circa la metà che nel 2008. Il flusso sarà però più lento e non irrigherà solo lavori pubblici e grande industria di Stato. Il segnale che la Cina ha avviato le manovre di salvataggio economico è stato dato una
decina di giorni fa del premier Wen Jiabao, che ha chiesto al partito misure di stimolo della crescita e di sostegno ai consumi. L’accelerazione è stata immediata: in una settimana la spesa pubblica è cresciuta del 27%, l’approvazione dei progetti di investimento è raddoppiata e i finanziamenti sono aumentati del doppio rispetto ai ricavi. Nel medio periodo, l’incubo è rappresentato dall’indebitamento di banche ed enti locali, premiati sulla base delle opere messe in cantiere. Nell’immediato l’effetto-ossigeno è invece evidente, a partire dal cambiamento di umore che già si respira nella capitale. Se nel 2008 il tesoro di Pechino finì solo in cemento e acciaio, ossia in infrastrutture ed edilizia, oggi le autorità sono state costrette a differenziare le voci, per intercettare il favore di una classe media sempre più decisiva. I primi megaprogetti approvati riguardano aeroporti, metropolitane, autostrade, dighe, impianti di depurazione, ma anche energia solare e nucleare e più in generale tutto il settore della green economy. La Cina punta cioè ad approfittare della necessità di nuovi stimoli per riconvertire il proprio sistema energetico, cercando di uscire dalla crisi con l’immagine di nuova potenza pulita. La stessa scelta si verifica nel capitolo dei consumi. Il partito ha ordinato a banche e imprese grossi incentivi alla rottamazione del vecchio parco-auto nazionale, offrendo pesanti agevolazioni a chi acquista mezzi ecologici, minicar, autobus elettrici, camion e macchine agricole verdi. Il piano è stato infine esteso agli elettrodomestici e nel giro di un anno dovrebbe portare ad un cambio senza precedenti di lavatrici, lavapiatti, televisioni e articoli per la casa. Gli economisti sono divisi tra chi considera il brusco avvio delle misure anticrisi, bloccate da mesi, un pacchetto di stimolo, una nuova politica di investimento, o un puro e semplice soccorso alla crescita. A contare saranno gli effetti e la capacità di Pechino di non impiccarsi con i debiti, come avvenuto in Occidente. Il partito del resto, alla vigilia del cambio di leadership, oggi non aveva scelta: più del rallentamento teme il dilagare dei disordini sociali, frutto di calo dell’export e fuga delle multinazionali in Paesi più competitivi.