Stefano Carli, Affari & Finanza, La Repubblica, 11/6/2012, 11 giugno 2012
CARLOS SLIM I PROGETTI EUROPEI DEL RE MESSICANO DELLE TELECOM
Roma Carlos Slim in Telecom Italia? Non è una novità: la possibilità che l’uomo più ricco del mondo (lo certifica l’annuale classifica di Forbes) e padre-padrone di America Movil sbarchi in Italia si era già presentata nel 2007, quando in Telecom c’era ancora Tronchetti, e non portò a nulla. Difficile prevedere ora cosa accadrà stavolta. Slim si sta muovendo in queste settimane in Europa con una decisone nuova, ma se in Austria l’operazione è andata in porto, in Olanda è in difficoltà. C’è poi che le sue mosse fuori dall’America Latina non sono mai apparse centrali nel suo disegno strategico, ma al tempo stesso ci sono segnali di rallentamento del core business in Messico e Brasile e, soprattutto in Messico, stanno sorgendo problemi di antitrust, che potrebbero spingere a una diversificazione geografica. Resta che cinque anni fa, il pericolo Slim era stata una delle motivazioni che aveva spinto Telefonica ad entrare in Telecom Italia per sbarrargli la strada. Dovessero uscire oggi, gli spagnoli potrebbero ben dire di aver buttato al vento per nulla qualche miliardo di euro. Ma al di là delle considerazioni dalla parte dei venditori (è ovvio che l’ingresso di Slim avverrebbe solo in caso di rottura definitiva del patto Telco) a tenere Slim lontano dall’Europa e dall’Italia sono state fino a oggi ragioni che hanno origine soprattutto all’interno del suo gruppo, delle sue strategie, del suo modo di fare business.
Ma qualcosa potrebbe essere cambiato. Slim ha appena rilevato una quota di Telekom Austria e sta cercando di alzare la sua quota in Kpn, l’ex monopolista telefonico olandese, al 27%. Fino a oggi i confini che Slim stesso si dà quando opera fuori di «casa sua» ossia il continente latinoamericano, sono stati abbastanza rigidi. Si va «all’estero », per acquisire competenze, per vedere come si muovono mercati più sviluppati, ma senza grande impegno di risorse. E’ così, da socio silenzioso, che Slim è stato per anni nel cda di Mci, una delle vecchie Baby Bell, fino alla sua fusione in Verizon. Da socio di minoranza avrebbe affiancato At&t nell’avventura italiana mai concretizzata 5 anni fa. Da socio di minoranza sta entrando nel capitale di Telekom Austria, dove ha preso appena un 4% e fa da supporto ai due soci maggiori, Ronny Pecik e Naguib Sawiris, l’ex proprietario di Wind che sarebbe però in uscita. Il tutto per una quota complessiva del 25% di una telco da 4 miliardi di fatturato, 23 milioni di utenti divisi su otto mercati dell’Europa centro-orientale, travolta da scandali legati a episodi di corruzione e che sta perdendo soldi a rotta di collo. Un business insomma relativamente piccolo e comunque benedetto dalla luce verde arrivata dal governo di Vienna, tuttora il maggiore azionista. Dove invece governo, istituzioni e politica non hanno dato alcun consenso è in Olanda, dove Slim sta cercando di portare la sua quota in Kpn dal 4,8 al 28%. Ma l’operazione è fortemente osteggiata all’Aja, dove si stanno approntando tutti i mezzi, comprese «pillole avvelenate» da inserire nello statuto, per bloccare il miliardario messicano. Ma Telekom Austria e anche Kpn sono cose piccole: per Slim e anche nel contesto del mercato europeo, dove pure Kpn controlla E-Plus, terzo operatore mobile tedesco, con 15 milioni di utenti. Ben diverso boccone sarebbe Telecom Italia, anche a dispetto della capitalizzazione ultraridotta a cui è costretta dagli attuali corsi di Borsa. Sembra uno scenario difficile, ma non impossibile se cambiano le condizioni e soprattutto se davvero Slim sta cambiando le sue strategie sull’estero. Lo Slim che si conosce fuori dall’America Latina è ben diverso da quello che agisce sui suoi mercati “domestici”. Basta guardare l’elenco delle partecipazioni di America Movil. E’ una lunga sequenza di percentuali la più bassa delle quali è l’88,7% di Televista, una pay tv messicana. «Quella di Carlos Slim - spiega Alberto Griselli, partner di Value Partners, responsabile per l’America Latina - è la tipica strategia “deep pocket”. Si muove cioè forte della sua grande liquidità e attende situazioni di incertezza in cui può massimizzare questa sua strategia. Ha fatto così in Brasile all’inizio degli anni Duemila. Ha sfruttato l’incertezza dettata dall’arrivo al potere di Lula, ha rischiato sfruttando la grande volatilità di un mercato in una fase di rischio paese ai massimi storici, spaventato dall’arrivo al potere della sinistra, consolidando la presenza in Claro nel wireless, guadagnando il controllo di Embratel, nel fisso, e di Net poi nel mercato di pay TV». Claro è controllata al 100%, Embratel al 97% ma nel 2006 ha investito quasi 2 miliardi di reais per delistarla. Grandi cifre ma ben sopportabili dalle spalle dell’uomo che per tre anni ha guardato dall’alto l’intera classifica dei super ricconi di Forbes. La totalità dei suoi assets sono stimati, a valori di marzo 2012, la bellezza di 69 miliardi di dollari, e una cinquantina da solo vale il comparto tlc capeggiato da America Movil. La holding telco dell’impero Slim è al momento un gigante vicino agli 800 miliardi di pesos di fatturato annuo (192 miliardi il primo trimestre 2012, in crescita del 12% sull’anno prima). In termini di euro siamo più vicini ai 45 che ai 40 miliardi. La crescita è ancora a doppia cifra: livello tipico nei mercati emergenti ma cosa che nel maturo mercato europeo appartiene al mondo dei ricordi. I ricavi sono il frutto del traffico sviluppato da circa 306 milioni di utenti: 246 milioni solo quelli della telefonia mobile, 30 quelli della telefonia fissa, 16 milioni di collegamenti fissi a banda larga e 14 milioni di utenti delle sue pay tv. Il tutto nel continente latinoamericano, ossia dal confine meridionale degli Usa fino alla punta della Patagonia, Caraibi compresi. Questo è il mercato di Slim. Da quando è iniziata la sua espansione le sue strategie non sono andate oltre questo binario: controllo completo delle attività sui mercati domestici da una parte e poca presenza all’estero dall’altra. Dove per estero si intende tutto il resto del mondo fuori dell’America Latina. Di qui le poche quote e sempre minoritarie sui mercati più avanzati e maturi, (gli Usa prima, l’Europa adesso). Di qui la sostanziale assenza da altri mercati in via di sviluppo come l’Asia e l’Africa. D’altra parte in ogni altro mercato Slim dovrebbe operare da sfidante mentre lui è più abituato a giocare da incumbent. In Messico, per esempio, nella rete fissa ha una posizione di monopolio quasi assoluto, ma anche nel mobile, dove pure i concorrenti esistono, la sua quota di mercato è sopra il 70%. Fuori dal Messico la situazione è simile. Grandi mercati come il Brasile o l’Argentina sono suddivisi in sottomercati regionali, anche se ognuno è di grandi dimensioni, un po’ sul modello delle vecchie Baby Bell americane, e solo negli ultimi tempi stanno evolvendo verso un modello di competizione generalizzata. E questo sta anche portando un irrigidimento in stile «europeo» delle regole. E’ infatti proprio grazie al sistema di regolamentazione che Tim Brasil e Vivo, controllata da Telefonica, quindi dal primo azionista singolo di Telecom, possono continuare a farsi concorrenza. E questo spiega anche perché una ipotetica presa di controllo di Slim su Telecom non dovrebbe preludere alla fusione tra Tim Brasil e Claro, impedendo con ciò tutte le sinergie e i risparmi che ne giustificherebbero la realizzazione. Ma soprattutto Slim deve iniziare a curare lo stato di salute dei suoi asset. L’impero è grande ma la sua redditività non è alta. Il margine ebitda è al 35% (mentre in Europa è ancora vicino al 50%): inferiore a quello di Tim Brasil, che da questo punto di vista è un benchmark di efficienza. E soprattutto è in calo (dal 37%). Insomma, per crescere ancora Slim non può continuare a regalare telefonini come ha fatto finora. Anche le “deep pocket”, le tasche fonde, alla lunga si esauriscono.