Maximilian Cellino, Luca Davi, Il Sole 24 Ore 9/6/2012, 9 giugno 2012
RATING E LIQUIDITÀ, CONTO SALATO PER LE BANCHE
Penalizzate dagli investitori, minacciate (e punite) dalle agenzie di rating, inseguite dalle authority che chiedono loro continui adeguamenti di capitale. Per le banche europee è un periodo decisamente complicato, e lo dimostra l’imminente richiesta di fondi da parte di Madrid per salvare dal fallimento alcuni istituti iberici. Per fortuna negli altri Paesi non si è ancora arrivati a un simile livello (così come a quello del sistema finanziario greco, di quello irlandese e degli altri che hanno reso necessari interventi pubblici), ma è chiaro che la tensione resta elevata e lo stato di salute delle banche viene monitorato continuamente e con trepidazione.
La scure di Moody’s & soci
Nessuno può a buon ragione ritenersi al riparo dalla bufera, neanche chi a torto o ragione viene di solito ritenuto il baluardo della solidità. Non per niente Moody’s ha abbassato mercoledì scorso il rating di 6 banche tedesche e di 3 austriache perché non sono immuni dal contagio europeo e hanno una capacità limitata di assorbire eventuali perdite in caso di una escalation della crisi del debito. Un problema comune, dunque, visto che 4 mesi fa la stessa agenzia ha messo sotto osservazione 116 banche di 16 Paesi europei e gran parte di queste (fra cui le italiane e le spagnole) le ha già declassate.
Certo, fra la «A3» di Commerzbank e i giudizi che iniziano con la lettere «B» degli istituti italiani e spagnoli (questi ultimi potrebbero subire nuovi tagli da Fitch, che due giorni fa ha ridotto di tre gradini a «Bbb» il rating sovrano del Paese) la distanza è ancora notevole, ma il segnale è di quelli da non prendere alla leggera. Anche se bisogna considerare che il rating è in sé una conseguenza e non certo la causa della crisi: può trasformarsi a sua volta in volano soltanto nel momento in cui il miglior giudizio assegnato dalle tre agenzie scende sotto un certo livello («Bbb», investment grade) e i titoli dell’istituto non sono più utilizzabili come collaterale nelle aste di rifinanziamento della Banca centrale europea (Bce).
Il nodo della liquidità
A ridurre alcuni istituti spagnoli sull’orlo del fallimento non sono state però le (tardive) decisioni delle agenzie di rating, né l’insufficiente dotazione di patrimonio: la stessa Bankia, per esempio, ha un livello di Tier One pari al 9,4% adeguato alle richieste di Basilea 3 e dell’Autorità bancaria europea (Eba). Le banche iberiche soffrono per una questione specifica locale, lo scoppio della bolla immobiliare nel Paese che le costringe a subire ingenti perdite sul mattone, e una che invece accomuna gran parte della periferia d’Europa, la difficoltà a reperire le risorse necessarie a svolgere le attività di ogni giorno.
È proprio il nodo della liquidità a creare maggior apprensione: con i mercati dei capitali che funzionano a singhiozzo e spesso sono del tutto congelati (almeno per chi non è una «big»), la Bce è intervenuta in modo massiccio per alleviare i problemi degli istituti finanziari. Prima garantendo un quantitativo di denaro illimitato a tassi di «favore» (oggi l’1%), poi estendendo le normali operazioni di rifinanziamento fino a 3 anni (le cosiddette Ltro) elargendo mille miliardi di euro fra dicembre e febbraio. Mosse che in alcuni casi sono state risolutive e che in altri hanno semplicemente spostato in avanti il problema.
Calcolano gli analisti di Mediobanca Securities che le banche europee, se vorranno riallineare le scadenze delle attività con quelle delle passività, dovranno per forza aumentare l’emissione di bond a lungo termine andando così a intasare un mercato che già impone loro di rimpiazzare titoli per 2.200 miliardi di euro in scadenza da qui al 2016 (la metà entro il prossimo anno). Cifre enormi, che saranno difficilmente fronteggiabili se il contesto rimarrà quello attuale, soprattutto dagli istituti dei Paesi periferici che pagano lo scotto di spread elevati.
La situazione in Italia
La solidità degli istituti italiani non è certo in dubbio, complice lo sforzo di patrimonializzazione compiuto negli ultimi anni. Ma il perdurare della crisi può essere un elemento di incertezza. Gli istituti tricolori hanno retto all’urto della crisi e, a partire dal 2007, come ha ricordato lo stesso governatore Visco, hanno compiuto «notevoli progressi sulla strada del rafforzamento patrimoniale». Basti pensare che il rapporto di capitale Core Tier 1 dei 5 principali gruppi è salito dal 6% del 2007 al 10%.
Ora però l’attenzione generale è rivolta al 30 giugno, quando si capirà nel dettaglio qual è la risposta dei singoli istituti alle richieste dell’Eba. L’asticella del 9% di Core Tier 1 dovrebbe essere a portata di mano: Ubi e Banco Popolare hanno chiesto e ottenuto da Bankitalia la possibilità di utilizzare i modelli interni avanzati per la misurazione del rischio di credito verso le imprese e dei rischi operativi, riuscendo così a oltrepassare la fatidica soglia. Più complicata la strada per Mps, che invece si trova costretta a coprire un buffer da 3,267 miliardi di euro. Ecco perché il gruppo senese sta studiando, in collaborazione con gli organismi di vigilanza, la possibile emissione di un CoCo bond, la prima in Italia.
L’altro elemento di preoccupazione riguarda invece il fronte degli impieghi, che rischiano una forte contrazione. Tutto è legato alla crisi di fiducia che ha colpito il comparto bancario nel corso del 2011 e ha di fatto prosciugato i canali di raccolta sia interna che estera all’Italia. Proprio quest’ultima lo scorso anno si è ridotta di ben 50 miliardi. A compensare il minor afflusso è stato il doppio finanziamento Ltro della Bce, che ha permesso di contenere il calo dei crediti verso famiglie e imprese. Poiché in Italia i crediti sono però tradizionalmente superiori ai depositi (a marzo 2012 i prestiti a clienti in Italia erano pari a 1.950 miliardi, il 125% del Pil), le difficoltà nell’erogazione del credito rischiano di rimanere intatte, soprattutto in prospettiva. Lo stesso Visco nei giorni scorsi ha ricordato che si imporrà un riequilibrio del rapporto tra impieghi e fonti stabili della raccolta. E che per rafforzare il patrimonio sarà «necessario accrescere l’autofinanziamento». Con costi inevitabili per chi è azionista delle banche stesse.