Mario Bernardi Guardi, Libero 8/6/2012, 8 giugno 2012
TUTTA L’EUROPA NERA E AI PIEDI DI BENITO I
Palazzo Venezia, 27 aprile 1945. Al Cardinale Referendario, ricevuto in udienza, Mussolini domanda informazioni su Pio XII che ha abbandonato San Pietro per Castelgandolfo. Tutto bene, è la risposta, Sua Santità chiede solamente la grazia di poter ospitare nella sua residenza un illustre scienziato, il professor Piccard, perché lo assista nei suoi tentativi d’esplorazione della stratosfera. Il Duce non ha nulla in contrario. Se Pio XI faceva dell’alpinismo per approssimarsi alle celesti dimore, è giusto e sacrosanto che Pio XII abbia scelto l’aviazione per sentirsi ancor più vicino al cielo. Il Santo Padre tenga però presente che tutti attendono il suo ritorno in Vaticano ed anzi faccia presto, «perché sulle diecimila stanze vuote ha già messo l’occhio la Commissione degli Affitti». Seconda visita, in ordine protocollare,è quella del camerata Savoia ovvero Vittorio Emanuele II. Benché l’ex sovrano sia stato consegnato dagli inglesi agli italiani vittoriosi, in osservanza della prima clausola dell’armistizio, il Duce non lo considera un prigioniero. E così non solo accoglie il Regale Cugino, ma gli annuncia che ha deciso di affidargli il governo di una regione: quella Savoia che la Francia dovrà cedere all’Italia in forza del trattato di pace. Come assistente, se vuole, potrà avere il figlio Umberto. Duce, sospira l’ex monarca,Umberto non è più con me. Se n’è andato ad Hollywood insieme a Maria José. Apriranno un istituto di bellezza. E Badoglio? No, nessuna condanna a morte. Anzi, è «condannato a vivere». Nella villa che il Duce gli ha regalato, col suo titolo nobiliare e con i milioni elargitigli dal regime. Nessuno gli torcerà un capello.Basta e avanza a punirlo la vergogna che si porta dentro. E deve essere davvero tanta visto che, qualche tempo dopo, il Maresciallo dell’8 settembre tenta il suicidio. A questo punto, però, il lettore vorrà avere qualche spiegazione circa questo strano aprile 1945.Bene, gli verranno dal fantapolitico Benito I Imperatore di Marco Ramperti, edito nel 1950 da Sciré e riproposto ora dal Cavallo Alato- Edizioni di Ar (pp. 189, euro 18,introduzione di Anna K. Valerio).Diciamo subito che Ramperti fa parte della schiera degli scrittori dimenticati.Noto negli anni tra le due guerre come romanziere, saggista,critico teatrale e cinematografico,nonché spirito libero per vocazione,col regime ebbe rapporti conflittuali.Ma, dopo la«morte della Patria», scelse la Rsi. Rapporti scomodi, anche in questo caso. Scomodissimi, poi, a Liberazione avvenuta, con l’Italia democratica e antifascista. Il che significa che Ramperti fece la fame, ma non si vendette ai vincitori. E, benché emarginato, continuò a scrivere.Benito I Imperatore è una bella incursione nell’immaginario a partire dalla scena iniziale: «È l’alba del 25 aprile 1945 e Benito Mussolini,avendo l’Asse vinto la guerra per impiego tempestivo della bomba atomica, cavalca per la via Appia alla volta di Roma». Ecco: Ramperti è partito da un’ipotesi(che cosa sarebbe accaduto se...),l’ha fatta trionfare e la sviluppa. Il Duce ha vinto, imponendo una sorta di pace armata: vediamo un po’cosa fa in un’Italia che lo acclama e in un’Europa che è fascista o comunque è sottomessa al fascismo,mentre l’Urss non esiste più e sono al potere i Russi Bianchi e mentre gli Usa, dove sempre più comandano le donne, anzi le belledonne, si accingono a mandare ambasciatrice a Roma la fascinosa Rita Hayworth. Che cosa fa quel Duce che tra poco sarà incoronato Imperatore? Si comporta in maniera magnanima.Nemmeno una condanna a morte. Nemmeno per chi ha più vistosamente tradito. Se mai, punizioni ad hoc, come quella inflitta a Badoglio. O a Giuseppe Bottai,una delle anime del 25 luglio, poi arruolatosi nella Legione Straniera: bene, ci resti come piantone avita, impiegato a spazzare le camerate e a pulire i cessi.Intanto tutti gli intellettuali hanno ripreso a corteggiare Benito in maniera indecente e Ramperti li fa sfilare uno dopo l’altro alla corte del padrone. Ci sono tutti: Paolo Monelli e Sibilla Aleramo,Leo Longanesi e Mario Missiroli, Mario Alicata e Pietro Ingrao, Indro Montanelli e Massimo Bontempelli...E Malaparte? No, si è trasferito in Germania e ora veste una divisa da ufficiale tedesco.E Giuseppe Ungaretti? Beh, dopo l’8 settembre ha fatto veramente schifo, inveendo contro quel Mussolini che - così dichiarava- per lui veniva dopo Dio e allora,mentre gli viene confermata la pensione a vita, una piccola punizione gli tocca: scriverà le sue liriche sulla carta igienica. E cosa accadrà ad antifascisti di professione come Parri e Pertini? Niente di grave: saranno condannati ad accompagnare a vita il poeta cieco Carlo Borsani alle sedute del Gran Consiglio. Insomma, mescolando generosità a ironia e disprezzo, il Duce sta facendo giustizia. Ma non è contento, ha il cuore oppresso da un senso di stanchezza e di pena. Gli vogliono davvero bene gli Italiani?Oppure la gloria si conquista solo, cristianamente, attraverso il sacrificio? Non sarebbe stato più bello morire in battaglia? A che vale tutto quel che ha conquistato se non si sente libero e in pace con se stesso? Né Claretta può confortarlo:erano innamorati nell’ora del rischio: ora non ci sono più né confidenza né passione. Il Duce è solo. Comunica solo con uno stravagante filosofo da strada con cui si interroga sul senso della vita.Già: ha senso la corona imperiale?O ne ha più riprendere in mano il vecchio violino e andarsene, finalmente libero dagli italiani, per le strade del mondo?