Attilio Bolzoni, la Repubblica 8/6/2012, 8 giugno 2012
PERUGIA PARADISO PERDUTO. LE GANG L’HANNO TRASFORMATA IN CAPITALE DELLA DROGA
CI SONO giorni che la danno anche gratis. E in altri la piazzano a dieci, quindici euro a bustina. Lo fanno per conquistare nuovi clienti e non perdere i vecchi, invogliati da una concorrenza spietata. Offerte promozionali nel più esagerato supermarket degli stupefacenti. Una volta Perugia era una città tranquilla, oggi si muore di droga cinque volte di più che in ogni altro luogo d’Italia.
La fiera dello spaccio è qui, qui nella Perugia della vendita porta a porta, il giro di giostra costa poco, si compra tutto alla luce del sole, ce n’è per tutti i gusti. Cocaina. Eroina. Ketamina. Exstasy. Anfetamina. Marijuana. Hashish. Popper. Stimolanti. Allucinogeni. Antidepressivi. Da iniettare, da sniffare, da fumare. Naturali o sintetiche le droghe hanno fatto diventare questa città l’ultimo cimitero del buco, l’ultima frontiera dell’overdose. In qualunque altra regione o provincia del Nord e del Sud i morti scendono anno dopo anno e qui invece salgono. Nel 2011 sono stati ventisei, nel 2010 ventiquattro. A Milano 13. A Napoli 29. A Bologna 7. A Bari 1. Un tasso di mortalità di 4,1 ogni 100 mila abitanti contro lo 0,9 della media nazionale. E aumentano, aumentano sempre. Nei primi cinque mesi del 2012 sono già arrivati a dodici. Lunedì 4 giugno, il tredicesimo. Un tunisino ritrovato in un anfratto sotto la collina, la sua casa. È un massacro senza fine in questa Perugia fino a qualche tempo fa fuori rotta dalle grandi piste del crimine, silenziosa e ordinata, scelta come capitale delle droghe per la sua lontananza dal clamore e per quei suoi trentamila studenti acquartierati intorno alle università, un richiamo irresistibile, la piazza ideale per vendere tutto quello che si può vendere a prezzi stracciati.
Tunisini. Albanesi. Nigeriani. E dietro di loro napoletani e calabresi. Tutti insieme l’hanno conquistata e devastata. Chi sta avvelenando Perugia?
KEBAB AL POSTO DELLE CIOCCOLATERIE
Venite a scoprire con noi come è cambiato il volto di Perugia da quando qualcuno ha deciso che doveva diventare una sorta di Scampia in mezzo a tesori medievali e rinascimentali, palazzi sontuosi, oratori e mona-steri, rocche, vicoli che si arrampicano e che precipitano, gioielli di scultura, pozzi etruschi, fontane. Al posto delle antiche ed eleganti cioccolaterie sul corso Vannucci ci sono kebab, paninerie e paninoteche, vetrine piene di cianfrusaglie, baretti che vendono sbobba alcolica a pochi centesimi, fumi di agnello arrosto e puzzo di piscio, vedette,
spacciatori sulle scalinate del Duomo, le bustine infilate nelle fessure fra pietra e pietra delle case nobiliari, tre pusher di qua e sei pusher di là, uno squillo di cellullare, scambi veloci, qualche euro che passa di mano. «Li vediamo dappertutto, smerciano droga davanti a tutti e a qualunque ora», racconta Maria Luisa De Marco de L’Altra Libreria, una sorella morta l’anno scorso per overdose e la sua bella bottega al centro di quello che lei chiama il «triangolo delle Bermude», via Ulisse Rocchi, piazza Danti, via delle Cantine, un crocevia dove i soliti dieci o venti spacciatori attirano i clienti per far scivolare una bustina nelle loro tasche. Fino a una trentina di anni fa, nel centro storico, abitavano più di 30 mila perugini. Ora ce ne sono meno di 6 mila. Negli scantinati, nei bassi, nei sottoscala — tutti affittati a peso d’oro e spesso in nero — vivono gli studenti e anche loro, i venditori porta a porta. Prima in questa Perugia passeggiavano le mamme con le carrozzine, ora s’inseguono i tossici e si accendono furibonde risse fra bande rivali. È un’altra città. Se la sono presa quelli.
È sotto assedio. Quando fa buio, c’è il coprifuoco. «L’altra sera ho visto un gruppo di tunisini che menavano colpi di bastone contro alcune automobili, dopo un po’ i poliziotti hanno dirottato il traffico e chiuso le strade, corso Vannucci era loro territorio fino al giorno del fattaccio», ricorda Walter Cardinali, proprietario dell’hotel Decò e uno degli animatori dell’associazione Pro Ponte. Il «fattaccio» è avvenuto l’8 maggio. Nel salotto
di Perugia, colpi di pistola e coltellate fra tunisini e albanesi. Una partita di droga non pagata. Dal giorno dopo la città è stata «militarizzata ». Gipponi di polizia, carabinieri e finanza da una parte in piazza Italia e dall’altra in piazza IV Novembre, controlli, posti di blocco, fermi, retate. Gli spacciatori sono stati cacciati finalmente dal corso principale. Si sono spostati a qualche decina di metri. In via della Viola. In via del Dado. In via della Gabbia. In vicolo Volta della Pace. In via della Brocca. In via della Cupa. E giù al Campaccio. Continuano lì a vendere la loro roba. Ma come è stata possibile questa spaventosa invasione di pusher, in una città
calma e pacifica come Perugia?
I PIZZINI DI LAMPEDUSA
Nell’ultimo anello della catena sono quasi tutti tunisini, gli spacciatori di strada. Ragazzi, approdati con i barconi. A molti di loro la polizia di frontiera ha sequestrato bigliettini con il nome di un bar di Perugia. Sapevano già dove andare prima di sbarcare in Europa. Tutti con una meta: corso Vannucci. Li aspettavano altri connazionali. Questi giovanissimi maghrebini provengono quasi tutti da uno stesso quartiere di Tunisi — quello di Hammamet, dicono loro — e la leggenda metropolitana racconta che con lo spaccio di eroina e cocaina riescano a guadagnare anche 30 mila euro al mese. Fesserie. Sono tutti morti di fame, si trascinano, molti di loro sono «sfasciati», vendono la droga per racimolare qualche soldo e poi «farsela». Sopra di loro c’è un clan di alba-
nesi. Piccoli grossisti. E poi anche corrieri nigeriani che vanno e vengono da Napoli, da Roma, forse dalla Calabria. È un traffico ben regolato. Poca droga alla volta, un flusso continuo. Non ci sono grandi magazzini di stupefacenti a Perugia, non si stoccano grandi quantità in zona, l’ero o la coca arrivano in piccole quantità ma sempre. Chi la vende a Perugia non sa da chi la compra e da dove viene. Il sospetto è che camorra e ‘ndrangheta riforniscano i gruppi criminali minori. Le mafie, Perugia l’hanno sub-appaltata. Il lavoro sporco è per loro, per chi è abituato ad entrare ed uscire di galera. I tunisini sono carne da macello per i boss.
Per molto tempo tutti hanno fatto finta di niente. Forze di polizia. Magistratura. Amministratori. Commercianti. Poi si sono ritrovati quella valanga di morti per overdose e le vie della loro città in mano agli spacciatori. E si sono messi paura. Soltanto negli ultimi dodici mesi, la polizia ha arrestato 221 persone per reati legati agli stupefacenti. È da poco che è cominciata davvero la guerra contro lo spaccio. Un nuovo questore nel 2011, un’attività investigativa più intensa, summit, comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza, viaggi della speranza al Viminale. Ma perché è passato tutto questo tempo? Perché hanno lasciato Perugia nella morsa dello spaccio per tanti anni?
GLI INTERESSI INCONFESSABILI
Meglio tardi che mai, vero sindaco? «Ho chiesto un intervento molto forte e visibile, i cittadini hanno paura, lo Stato deve riappropriarsi di questo territorio », risponde Wladimiro Boccali, primo cittadino di Perugia che qualche giorno fa ha parlato di «un pezzo del centro storico rimasto fuori controllo delle istituzioni per alcune decine di minuti » e ha annunciato che, d’ora in poi,
il Comune si costituirà parte civile contro gli spacciatori. L’altra settimana prima ha scritto e poi incontrato il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, c’erano anche il capo della Polizia Antonio Manganelli e il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Leonardo Gallitelli. A Perugia si riaprirà una piccola caserma nel centro storico, invieranno reparti mobili per la prevenzione. Basterà? «Perugia non è Napoli, la città ormai ha consapevolezza del fenomeno e tutto è recuperabile, siamo già tornati nella metà campo degli avversari», dice ancora Boccali alludendo ai gipponi che, dopo il «fattaccio», presidiano piazza Italia e piazza Danti come i blindati davanti all’aula bunker di Palermo negli anni del maxi processo. Ma le risulta che molti suoi concittadini si arricchiscono con gli spacciatori,
affittando le cantine nel centro storico? «Ho già firmato una delibera che blocca l’uso dei
pianterreni», spiega il sindaco che di colpe, in verità, non ne ha se non quella di avere aspettato un po’ troppo prima di alzare la voce. Si è barcamenato, ha preso tempo. Ci volevano quelle pistolettate e quelle coltellate dell’altra notte per risvegliare tutti. Qualche bar ha assoldato i buttafuori per impedire l’ingresso a brutti ceffi, un paio di pub hanno la chiusura forzata a mezzanotte. A quell’ora i tunisini sono in piena azione. Sempre gli stessi e sempre diversi. Se ne andranno mai dalla “loro” Perugia?
MAFIOSIZZATA O CAPITALE DEL BUCO
In città ci sono due partiti. Quello che sostiene che la mafia non c’è e quell’altro che garantisce che ha già allungato le mani lì dal terremoto di 15 anni fa. I primi negano anche sotto tortura la “mafiosizzazione” di Perugia, gli altri spiegano che i Casalesi e i boss della ‘ndrangheta si sono già «sistemati» in Umbria. Già confiscati beni mafiosi, già scoperti prestanome. Un terzo punto di vista - a metà strada - lo fornisce Fausto Cardella, il procuratore capo di Terni che dopo il 1992 ha indagato sulle stragi siciliane: «È normale che ci siano tentativi di inserimento in una regione come questa, ma ancora non risulta una penetrazione vera e propria, solo episodi. Sul fenomeno dello spaccio non servono interventi speciali ma è necessaria un’attività costante, quotidiana». Quella che - di sicuro - è mancata.
Sono solo spacciatori o sono avanguardie dei clan? Marcello Catanelli, della direzione regionale di Sanità, il capo di una piccola task force che segue le vittime delle tossicodipendenze, è certo che ci sia dell’altro: «Questi morti sono solo la punta dell’iceberg, l’aspetto più clamoroso di un meccanismo di infiltrazione capillare. Qui c’è un’offerta qualificata di stupefacenti, c’è un marketing, una strategia sofisticata, nulla è casuale di ciò che sta accadendo in questi anni a Perugia». Il primo allarme era stato lanciato da una esperta del suo staff, Angela Bravi. È dal 2007 che lei denuncia tutto. L’hanno lasciata sola con i suoi tossici. La città si è voltata dall’altra parte.
Come finirà questa guerra con gli spacciatori e resisterà il primato dei morti per droga di Perugia? I giornali locali quasi ogni mattina dedicano il grande titolo di prima pagina a un sequestro o a un arresto. Una cronista, Vanna Ugolini, ha scritto anche un bel libro —
Nel nome della cocaina, la droga di Perugia raccontata dagli spacciatori —
che svela i retroscena di tante vite in ostaggio. Come quelle di via del Silenzio. Un vicolo ripido, un muro, una scritta: «Via tutti i tunisini di merda». Quelli che incontra ogni giorno e ogni notte anche il professore Maurizio Tittarelli, insegnante d’inglese che abita proprio qui. L’altra sera ha visto due pusher, avevano appena adocchiato un cliente. Poi hanno infilato la bustina in un grande vaso pieno di terra che il professore ha nel suo giardino. Tittarelli ha chiamato la polizia: «Mettono sempre la droga nella terra del mio vaso, cosa devo fare?». Gli hanno risposto: «Al posto della terra, il vaso lo riempia con il cemento, così la droga non ce la metteranno più».