Filippo Ceccarelli, la Repubblica 8/6/2012, 8 giugno 2012
MONTI E IL DIVORZIO DAI “POTERI FORTI” L’ULTIMA FRECCIATA TRA I PRIMI DELLA CLASSE
IDDIO salvi l’Italia dalle ripicche dei professori, specie quando vogliono fare gli spiritosi.
Ha detto ieri il presidente del Consiglio Monti: «Il mio governo e io abbiamo sicuramente perso in questi ultimi tempi l’appoggio che gli osservatori ci attribuivano, spesso colpevolizzandoci, dei cosiddetti poteri forti»; e quindi ha proseguito, i dispacci d’agenzia non specificano se con un sorriso: «Non incontriamo favori in un grande quotidiano rappresentante
e voce di potere forte e in Confindustria», eccetera.
Si perdoni a questo punto l’approccio psico-pedagogico, o l’intonazione narcissico-accademica, ma c’è qualche dubbio che il presidente Monti pensi davvero di essere stato abbandonato dai «cosiddetti», come dice lui, poteri forti. Primo, perché la nozione lanciata nell’agone da Giuseppe Tatarella nell’estate del 1994 deve suonargli irrimediabilmente vaga e fastidiosamente grossolana. E poi, se per assurdo fosse vero, ammetterlo sarebbe un passo falso e per qualunque presidente, anzi, un suicidio annunciato.
Elemento supplementare e paradossale della faccenda è che nessun presidente del Consiglio
è stato più di Monti sospettato di essere lui stesso un’emanazione dei poteri forti, nel senso di élite tecnocratiche, «forze della desovranizzazione » come le chiamava l’avvocato Agnelli, oligarchie, massonerie, consorterie, Goldman Sachs, Moody’s, Trilateral, Bilderberg e via precipitando a rotta di collo nell’immaginario cospirazionista.
Tutto lascia dunque pensare che il premier abbia fatto una battuta - eh sì, anche lui - sul filo dell’ironia. E che quel suo trasparente richiamo al
Corriere della Sera
aveva come bersaglio l’articolo di fondo uscito l’altro ieri a firma Alberto Alesina e Francesco Giavazzi e significativamente intitolato: «La direzione è sbagliata».
Ora, bisogna sapere che il professor Alesina è stato a suo tempo uno degli allievi preferiti di Monti, il quale nel 2002 ha anche scritto la prefazione a un volume alesiniano; mentre il professor Giavazzi è tuttora suo collega all’università Bocconi; ma il dato ancora più rilevante è che appena quaranta giorni orsono proprio Giavazzi è stato nominato consigliere
del governo con l’incarico di «fornire al premier e al ministro dello Sviluppo analisi e raccomandazioni sul tema dei contributi pubblici alle imprese».
Non è oltretutto la prima volta che i tre si punzecchiano con la meticolosa energia di primi della classe alla conquista dell’eccellenza. Nel dicembre scorso, sul decreto economico, Monti trovò il modo di accennare a «frettolosi e valenti economisti amici» che si erano fidati più delle indiscrezioni giornalistiche «che del nostro buonsenso». E ancora a marzo,
sulle liberalizzazioni, di nuovo Monti sentì il bisogno di far notare all’«amico» - e dagli - alcune «piccole cose sbagliate»; anche se più in generale ciò che Giavazzi aveva scritto era «un esempio di eccesso d’impazienza. Per il governo è bene sentire la frusta proclamava Monti con invidiabile sicurezza- ma la frusta perde autorità se è imprecisa».
Va da sé che l’immagine della frusta è fuori luogo, ma non del tutto se si considerano certi sistemi educativi di una volta. Il punto delicato riguarda infatti la gerarchia
dell’autorità del sapere, il primato del magistero della Conoscenza. In altre e più brutali parole: il professor Monti adora impartire lezioni al prossimo, ma proprio per questo non gli piace di essere trattato come uno studente incapace, per non dire somaro.
Meno che meno gli piace e anzi ha tutta l’aria di soffrire - e qui la faccenda si fa ancora più delicata - che qualcuno gli impartisca la lezione con la stessa inespugnabile superiorità, la stessa laconica chiarezza, lo stesso altero distacco, lo stesso tono e addirittura lo
stesso ritmo che rendono famose e apprezzatissime le sue lezioni. Un caso di osmosi concorrenziale, insomma, o di mimetica rivalità.
Se poi le aguzze critiche dei professori Giavazzi e Alesina compaiono sulle stesse pagine del
Corriere della Serache
per anni ha ospitato lo stesso appuntito biasimo che il professor Monti ha via via rivolto ai vari governi che hanno preceduto il suo, be’, si arriva forse a comprendere quali seri argomenti e quali dispettosi sentimenti, soprattutto, gorgogliano dietro i poteri forti e la loro sempre più incerta, ambigua e cruciale espressione.