Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 11 Lunedì calendario

VITA DA PENTITO DI CALCIOSCOMMESSE

Lo chiamano «Merdolucci», e tutto sommato non è neanche l’insulto peggiore. Gli urlano infame, venduto, traditore. Scritte sui muri e minacce di morte. Inseguono la sua fidanzata mentre va al supermercato, si appostano sotto casa: «Dovete andarvene da qui! Non vi vogliamo». E intanto, è passato un anno. Un anno terribile da pentito del calcioscommesse. Da quando Vittorio Micolucci, ex difensore di Pescara, Bari e Ascoli, ha scelto di raccontare quello che sapeva. E se la parola pentito vi può sembrare esagerata considerato il tema, è bene precisare subito che nelle carte dell’inchiesta di Cremona lui viene indicato come «collaboratore di giustizia». Esattamente come nelle storie di mafia.
Micolucci ha descritto scene pesanti. Mazzette di denaro sventolate in faccia ai giocatori. Ha riconosciuto quelli del cosiddetto «gruppo degli zingari», gente che non deve essere bello annoverare fra i propri nemici. Ha fatto i nomi dei compagni di squadra coinvolti nelle combine. Ed è stato sempre lui, a luglio dell’anno scorso, il primo a pronunciare davanti agli investigatori il nome di Carlo Gervasoni, poi diventato un altro pentito della stessa inchiesta. Insomma, Micolucci è stato il primo a raccontare, anche quando poteva stare zitto.

Ora il problema è che questa scelta di campo non pare essere stata molto apprezzata. «Lo trattano da appestato - dice l’avvocato Daniela Pigotti -, non ha ricevuto una sola telefonata dai vecchi compagni. Il suo procuratore è scomparso. Dalla società, nessun cenno. Gli ultrà lo riempiono sistematicamente di insulti. La stampa locale lo schifa, considerandolo il responsabile delle disgrazie della squadra. E anche la fidanzata, solo pochi giorni fa, è dovuta andare alla Digos per fare denuncia, perché non riesce neppure a portare le bambine a scuola. Ormai non trova nemmeno un lavoro umilissimo, perché è la compagna di “Merdolucci”».

Il sospetto è pesante: che un certo mondo del calcio possa perdonare i venduti, ma non chi ha tradito la regola del silenzio. E in effetti, non ci risulta che gli altri compagni di squadra coinvolti nello stesso scandalo stiano ricevendo uguale trattamento. Non sono state organizzate campagne denigratorie contro Pederzoli e Sommese, per fare un esempio. E in effetti, per fare un altro esempio, l’ex portiere della Cremonese Marco Paoloni, che ha scelto di minimizzare anche quello che gli investigatori ritengono conclamato, si sta già riciclando come commentatore televisivo nelle tv locali romane. Forse radiato dal campo, ma non ripudiato dal suo vecchio mondo.

Anche gli altri due pentiti del calcioscommesse vivono giorni difficili. L’avvocato Filippo Andreussi, difensore di Carlo Gervasoni: «C’è ragionevole timore rispetto alle dichiarazioni fatte. Per ovvie ragioni, dell’argomento non si può parlare. La situazione è delicatissima». Filippo Carobbio, in un’intervista a Repubblica, aveva dichiarato: «Se tutti dicessero la verità, sarebbe una rivoluzione». Ma l’invito sembra caduto nel vuoto. E la scorsa settimana, la moglie Elena Ghirardi ha usato parole che fanno riflettere: «Mio marito non è un infame. Ha fatto la scelta giusta. Io sono orgogliosa di lui». Se lo dicono fra loro.

Vittorio Micolucci continua a vivere ad Ascoli, perché lì c’è la sua fidanzata e ci sono i figli di lei, che stanno crescendo insieme. Il clima da città di provincia probabilmente non aiuta. Quando gli hanno concesso i domiciliari e poi l’obbligo di firma, si sono posti il problema dell’incolumità fisica. Persino un giudice rigoroso come Guido Salvini ha accettato di mandarlo ai domiciliari in Sardegna, a casa dei suoceri. Vittorio Micolucci sembra essere considerato responsabile non tanto per quello che ha fatto, ma per quello che ha detto. «Ha infranto un tabù - spiega l’avvocato Pigotti -, ora paga un prezzo doppio. La giusta squalifica e una solitudine assoluta. L’unico che mi ha cercato per mandargli un messaggio di vicinanza è stato il sacerdote dell’Ascoli Calcio».
In campo, Micolucci era uno dei più bravi. In B, a 28 anni, aveva un contratto da 830 mila euro netti in tre anni. Ma era sempre periferia dell’impero, gli stipendi non arrivavano regolarmente. C’è cascato per questo, ha spiegato agli investigatori. Ed ora, attraverso il suo avvocato, dice: «C’era questo meccanismo, normale, quasi automatico. Ho sbagliato, anche se non ho mai intascato soldi. Oggi non ci cascherei più. Ne sono sicuro. Quanto a quello che è successo dopo, sono contento della scelta che ho fatto. Non la rinnego». Davanti alla giustizia sportiva ha patteggiato due squalifiche, in teoria potrebbe tornare a giocare a gennaio. «Io spero ci sia un presidente che apprezzi la scelta di Vittorio - dice l’avvocato Pigotti -, ma temo che la strada sarà in salita».