Alberto Quadrio Curzio, Corriere della Sera 11/6/2012, 11 giugno 2012
La Spagna chiede aiuto all’Europa per salvare le sue banche pur tutelando il proprio orgoglio nazionale
La Spagna chiede aiuto all’Europa per salvare le sue banche pur tutelando il proprio orgoglio nazionale. La crisi europea cambia così qualità ed entra nella fase finale: quella della rottura o del rilancio dell’euro e dell’Unione. Il salto qualitativo consiste nel fatto che la Spagna è il quarto Paese per dimensioni della eurozona (Uem) ed è il quarto soccorso in due anni, dopo Grecia, Irlanda e Portogallo. Dunque l’effetto contagio prosegue e non basta a spiegarlo la mala gestio dei Paesi soccorsi. La crisi è infatti nella solidarietà dell’Eurozona e s’avvicina adesso all’Italia e alla Francia lasciando fuori, per ora, l’area germanica. Gli errori della Spagna sono noti. La crescita è stata dominata sia da una bolla immobiliare gonfiata dai mutui facili delle banche ma anche da operazioni di altri Paesi europei (tra cui quelle tedesche!) sia da uno sbilanciamento del settore dei servizi, specie bancari e finanziari, rispetto alla manifattura. Le banche spagnole hanno già avuto importanti immissioni di capitale dello Stato e Bankia, una delle più grandi nata dalla fusione di altre sette, è già sostanzialmente nazionalizzata. Si stima che l’esposizione delle banche nell’immobiliare in crisi sia intorno ai 350 miliardi di euro. Per non parlare dei crediti concessi alle squadre di calcio, certo molto minori ma emblematici di un assai dubbio rigore! Eppure fino a qualche anno fa molti in Italia volevano imitare la Spagna. Per fortuna non è accaduto. Così la nostra manifattura è rimasta forte e le banche italiane non hanno alimentato bolle, compresa quella immobiliare. Perciò le nostre banche, sostenute anche dalle Fondazioni di origine bancaria, non sono state nazionalizzate mentre l’intervento dello Stato con i «Tremonti bond» è stato minimo. Eppure quante critiche «ispaneggianti» hanno avuto le Fondazioni, le banche del territorio, le piccole imprese! Questo non vuol dire che l’Italia sia risanata ma certamente la Spagna non ci ha superato nelle graduatorie di sviluppo, come sosteneva Zapatero qualche anno fa. Certo il debito pubblico della Spagna nel 2011 era al 70% del pil (tuttavia le previsioni lo danno ad un prossimo 100%) mentre quello dell’Italia era al 120%. Ma anche qui bisogna essere più precisi. Di recente si è detto che il governo eletto di Mariano Rajoy ha preso decisioni di risanamento più radicali del governo non eletto (ma legittimato dal Parlamento) di Mario Monti. Magari per sostenere che anche in Italia bisognava andare a elezioni. Per dire il contrario è sufficiente confrontare lo spread dei rendimenti tra i titoli di Stato decennali italiani e spagnoli rispetto ai più sicuri titoli tedeschi (bund). Un anno fa, il 10 giugno 2011, il nostro titolo decennale pagava uno spread di 1,83 punti percentuali (p.p.) sulla Germania, ovvero 0,7 (p.p.) meno della Spagna. Poi è iniziata la crescita dello spread e così il 9 novembre, quando Monti fu nominato Senatore a vita, il nostro era schizzato a 5,53 (p.p.) sul bund superando a quella data di quasi 1,5 (p.p.) quello spagnolo. Infine è iniziato il nostro recupero, sia pure con oscillazioni, sicché l’8 giugno i nostri titoli pagavano uno spread sul bund di 4,44 (p.p.) ovvero 0,45 (p.p.) meno della Spagna. Questo recupero sulla Spagna è merito di Monti (e non della Bce di cui hanno egualmente beneficiato Italia e Spagna) che con la sua credibilità e le misure pesanti sulla tassazione e la previdenza ha mostrato che l’Italia è forte e coesa. Per tutti questi elementi il nostro deficit pubblico sul pil è meno della metà di quello spagnolo mentre la nostra disoccupazione è all’11% e quella spagnola è al 25%. Svalutare quanto fatto da Monti è sbagliato, anche se non tutto è merito suo e non tutto è perfetto. Ed anche se molto resta da fare. Consideriamo adesso la Germania. Le sue banche sono esposte verso la Spagna per almeno 120 miliardi di euro, in calo dai 200 miliardi di qualche anno fa quando la «solidarietà tedesca» ha iniziato la sua «ritirata europea». Adesso la Germania si dimostra flessibile nell’acconsentire che il Fondo salva Stati europeo presti a condizioni di favore fino a 100 miliardi di euro alla Spagna senza assoggettarla ad un sovrappiù di vigilanza che le regole chiederebbero ma che l’orgoglio spagnolo rifiuta. Si tratta dunque di un salvataggio flessibilizzato, anche per un recupero crediti dei tedeschi con i soldi di tutti i Paesi Uem, rispetto alle dure condizioni applicate a Grecia, Irlanda e Portogallo. Forse anche perché la Spagna è forte importatrice dalla Germania. Tuttavia speriamo che Merkel abbia capito che se adesso la crisi contagiasse anche l’Italia e/o la Francia, i capitali scapperebbero da tutta l’Europa e la Germania non godrebbe più di interessi tendenzialmente negativi e di ricche esportazioni verso l’eurozona. Perciò i vertici mondiali ed europei delle prossime settimane saranno cruciali. Al G 20 dei maggiori Paesi che si terrà in Messico e al vertice dei capi di Stato o di governo della Ue di fine giugno, la pressione sulla Germania e su Angela Merkel perché cambi rotta diverrà totale, anche con Usa e Cina schierate. Speriamo che le forze politiche e sociali italiane diano un pieno sostegno a Monti ormai diventato anche per Obama il referente europeo.