Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 11/6/2012, 11 giugno 2012
Da una parte la nostra vita quotidiana è una continua corsa contro il tempo. Dall’altra perdiamo le nostre ore in attività inutili
Da una parte la nostra vita quotidiana è una continua corsa contro il tempo. Dall’altra perdiamo le nostre ore in attività inutili. Mosso da questa consapevolezza, Peter Bregman, consulente strategico di numerosi amministratori delegati ed esperto di leadership e di organizzazione aziendale, invita a stilare una lista delle cose-da-non-fare, consegnando la sua idea a un blog del quotidiano americano Wall Street Journal. La cosa sorprendente è che in cima alla personalissima lista dei NO compilata da Bregman c’è l’acquisto di un iPad. Perché il primo l’ha comperato e l’ha abbandonato dopo due settimane: «era diventato un’ossessione, passavo ogni minuto libero consultando l’iPad e perdendo così la mia libertà». Si è lasciato attrarre dalla seconda generazione, che prometteva oggetti più leggeri e più veloci, ma il risultato è stato pressoché identico. Al punto che di fronte alla pubblicità planetaria del terzo modello, Bregman non c’è cascato e oggi vive tranquillamente senza un iPad in tasca. Dopo questa devastante esperienza, il super-consulente aziendale suggerisce di fare due classifiche opposte e speculari: «La lista delle cose-da-fare — scrive — è visionaria, selvaggia, creativa e produttiva: mi aiuta a fare le cose giuste. La lista delle cose-da-non-fare è responsabile, coscienziosa, protettiva, attenta e mi aiuta a evitare di trascorrere il mio tempo in attività sbagliate». Buona idea. Se non si finisce per identificare le «attività sbagliate» con le «distrazioni», che sembrano il vero obiettivo polemico di Bregman. Indubbiamente, la tecnologia, illudendoci di risparmiare al massimo il nostro tempo (di «ottimizzarlo»), rischia spesso e volentieri di ammazzarlo: e «ammazzare il tempo, invece di impiegarlo come la vera sostanza della vita vissuta e non semplicemente trascorsa, è il peccato dei peccati», come sosteneva lo storico dell’arte Bernard Berenson. In realtà, il tempo non manca ma lasciamo che trascorra senza viverlo: per esempio bisognerebbe chiedersi se le ore che trascorriamo online sono altrettante ore vissute. Vissute anche a oziare. Perché il tempo è un elastico, che si rilascia e si estende a seconda che abbiamo a che fare con momenti di stress, di felicità o di noia. Dunque, tra le cose-da-fare sarebbe saggio collocare al primo posto il verbo «annoiarsi», magari in solitudine, per il gusto di stare soli con se stessi: esattamente ciò che sembra vietato dagli strumenti tecnologici, che sollecitano invece lo scambio inesausto ed elettrizzante con il resto del mondo, il sentirsi sempre connessi con qualcuno, sia pure a distanza. Facile dunque collocare tra le cose-da-non-fare-assolutamente: controllare le email mentre fate colazione, armeggiare con il BlackBerry o con l’iPad durante una discussione con il partner, cinguettare mentre spingete la carrozzina del vostro bambino. Il che equivale ai vecchi e cari buoni propositi spesso rimasti tali. Però, uscendo dallo scherzo e dal paradosso, si sa che quando la dipendenza è dipendenza (da gioco d’azzardo come da wargame o da iPad), non ci sono buoni propositi che tengano. Anche se vengono rubricati, come fa Bregman, sotto la voce aziendalmente efficace «Scelte strategiche». E siccome la vita quotidiana è fatta anche di sfumature, sarebbe oculato, semmai, aggiungere una terza lista: cose-da-fare-ma-senza-esagerare. E magari una quarta: cose-da-non-fare-in-linea-di-massima. Oppure, tagliando la testa al toro, si potrebbe semplicemente seguire l’esempio del mega-consulente americano, mettendo in cima all’elenco dei No lo stilare liste autoprescrittive pensando di risolvere davvero qualcosa. Ma sarebbe troppo facile e molto meno divertente.