Luigi Galella, il Fatto Quotidiano 8/6/2012, 8 giugno 2012
SCUOLA, IL FARDELLO DEL MIGLIORE
Lo studente dell’anno è un po’ come il lavoratore dell’anno. Primo nella storia, nel 1935, fu Stachanov, che batté il record del numero di tonnellate di carbone estratte in un solo turno di lavoro. Da allora, in Unione Sovietica, il 31 agosto fu eletto “Giorno del minatore di carbone”.
Chissà i risolini di apprezzamento che accompagneranno lo studente che si fregerà di un titolo consimile, che presto si trasformerà in un solenne, memorabile “Giorno della secchia”. I “migliori”, è probabile, cercheranno di sfuggirvi.
Perché a scuola il termine è scivoloso, da sempre. Chi può veramente vantarsene? Quel Garrone, ad esempio, “anima nobile” di Cuore, buono, alto e grosso, che “s’attira l’affetto di tutti”, e “rischierebbe la vita per salvare un compagno”, oppure Derossi, “che ha più ingegno, e sarà il primo di sicuro anche quest’anno”? O lo stesso narratore, il “caro Enrico”, cui il padre si rivolge raccomandandosi: “Non ti vedo ancora andare a scuola con quell’animo risoluto e quel viso ridente”, prezioso depositario delle memorie della “scolaresca indimenticabile”. O magari lo stesso Franti, che il Direttore rimprovera “con accento da far tremare: Franti, tu uccidi tua madre”. E che espulso da scuola, magari, scopriremo che ha fatto carriera in politica e ha imparato abilmente a non ridere più delle vecchine pietose, che ora lo adorano e lo votano?
È una vera impresa saper dire chi sia il “migliore”.
CHI PRENDE i voti più alti perché si rinchiude in casa, come fa Giulia, la silenziosa misteriosa Giulia della Quarta A del “Paolo Baffi”, che quando c’è il compito di Storia taglia i ponti con tutto e tutti, “non vive più” come dicono i compagni, che la ammirano e la commiserano?
Certo Giulia al premio di “migliore studente dell’anno” potrebbe concorrere con ottime chance. Ma è anche vero che è così schiva, quasi infastidita di vedersi incoronare ogni volta da un voto d’eccellenza, che quest’ulteriore affronto le potrebbe sembrare intollerabile. L’abito del migliore costa fatica. Si hanno tutti gli occhi addosso: l’invidia pesa, preme. Si conquista perfino l’equivoca patente di “diversi”. E si avverte la responsabilità di dover confermare gli standard elevati. Come nello sport, nel quale si ricorre ad anabolizzanti, anfetamine, trasfusioni. Allo stesso modo l’ansia da prestazione potrebbe contagiare il mondo dorato dei giovani studenti agonisti di fronte a una complicata equazione, a una traduzione ricca di insidie, alla scrittura di un tema, ai capitoli di storia, di economia, di geografia; ai volumi e pagine e capitoli da memorizzare, alle ansie proprie e a quelle delle famiglie. Già la vedo Giulia sospirare e quasi gioire, di un voto più basso che la declassa e la solleva. E che paradossalmente le potrebbe sottrarre il titolo, ma consentirle di guadagnare il “merito”. Perché a scuola, infine, può accadere che il migliore sia addirittura colui che rinuncia a esserlo. E si getta nella vita che incalza, nella vita che ci chiede di osservare e condividere il destino di quella altrui, di guardarci a fianco e non solo avanti: molto più che partecipare a una gara sportiva o concorrere a un premio di produzione.
E in fondo è tutto nell’inafferrabilità della parola “migliore” il segreto della scuola, da quando è stata istituita, da quando è stata pensata. Perché, certo, la scuola dovrebbe per l’appunto renderci “migliori” , ma nessuno sa spiegarci in realtà in che senso. Quale sia il paradigma da preferire. Prendi “una de loro”, osserva Valentina, che più disinvolta-mente si esprime quando si libera del fardello “antico” della lingua italiana: “E successo parecchie volte ’n classe nostra. Una de loro, se prenne l’8 se mette a piagne, io se pijo 6 faccio ’n festino”. Valentina: tenace e tenera nella sua coscienza di non farcela, a essere “una de loro”, nonostante l’impegno, la volontà.
CHE SIA lei la “migliore”, per onestà e schiettezza almeno, quando confessa candidamente che i libri, già dalle prime righe le fanno “venì’ er mal de testa”. E ciò nonostante e lì, non ci rinuncia, non li abbandona?
Arianna invece è sospettosa: a guardar bene i voti più alti ce l’ha chi sa meglio copiare. E Noemi pensa che bisognerà mostrarsi belli coi professori, fare un po’ i “lecchini” e non rispondere mai, nemmeno di fronte alle palesi ingiustizie, nemmeno quando “a quelli” gira storto, quando entrano in classe e iniziano a interrogare. Anche a fiatare bisognerà stare attenti. E forse proprio chi saprà fiatare meno degli altri potrà giovarsi della palma del “migliore”.
E il dopo? Non resta che emigrare. Australia, Canada: dove già si trovano molti amici, parenti, qui no, non c’è nulla, oppure in Inghilterra, dove la “mentalità è più aperta”. Perché se si vuole restare in Italia e non si ha qualcuno che “t’aiuta” finisce che vai “a chiede l’elemosina fuori da ’a Conad ” oppure “a lava’ piatti al ristorante”.
“Ma andarsene no”, mugugna Simone, con risentita fierezza. Simone che è buono alto e grosso, come Garrone.
“Tocca restare qui e ripartire da zero. E accontentarsi, se occorre, anche di un lavoro umile. L’orgogliosa “anima nobile”: “Andarsene no: è come una fuga”.