Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 08/06/2012, 8 giugno 2012
IOR, GOTTI-TEDESCHI VOLEVA INVIARE IL DOSSIER AL PAPA —
Aveva tre destinatari il memoriale preparato dal banchiere Ettore Gotti Tedeschi «se dovesse succedermi qualcosa». E una copia doveva arrivare al Papa attraverso monsignor Georg Gaenswein. In tutto sono circa duecento pagine: un’introduzione di due cartelle, decine e decine di mail e altri appunti inseriti tra gli allegati, alcune pagine dell’agenda personale che documentano incontri e colloqui. In quelle carte sono indicati «gli amici e i nemici» dell’ex presidente dello Ior.
Ci sono le richieste di aiuto presentate nei momenti di difficoltà a numerose persone, comprese quelle più vicine al Pontefice come monsignor Gaenswein. Ci sono i resoconti degli scontri avuti con il cardinale Tarcisio Bertone e soprattutto con il direttore generale dell’Istituto per le Opere di Religione, Paolo Cipriani. Perché anche durante l’interrogatorio con i magistrati romani — il procuratore Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Nello Rossi — Gotti ha ribadito di essere sempre stato «osteggiato perché volevo la trasparenza, soprattutto su alcuni conti». Un riferimento neanche troppo velato ad alcuni depositi «cifrati» che potrebbero essere in realtà riconducibili a esponenti della criminalità organizzata. E proprio questo spiegherebbe i timori che Gotti ha esternato prima a persone fidate e poi ai pubblici ministeri motivando la sua scelta di collaborare dopo il sequestro del memoriale: «Temo per la mia vita».
L’armadio
con 47 faldoni
Dell’esistenza del memoriale Gotti aveva parlato nei giorni scorsi con alcune persone. È possibile che uno di questi telefoni fosse intercettato e che in questo modi i magistrati abbiano scoperto l’esistenza del carteggio. All’alba di martedì, quando i carabinieri del Noe sono entrati nel suo ufficio di Milano e nella sua casa di Piacenza per ordine della procura di Napoli, lo hanno sequestrato insieme ad altri documenti. Complessivamente, specifica l’avvocato Fabio Palazzo «si tratta di 47 faldoni che erano stipati in un armadio» e riguarderebbero anche le attività svolte quando era al vertice della Banca Santander, i contratti di finanziamento per le aziende del gruppo Finmeccanica, altri rapporti commerciali che passano proprio dallo Ior ma che nulla avrebbero a che vedere con il periodo durante il quale Gotti rivestiva la carica di presidente.
Quando gli viene chiesto conto del carteggio che secondo alcune indiscrezioni Gotti avrebbe addirittura voluto consegnare al Pontefice il banchiere chiarisce: «Ne avevo affidato una copia alla mia segretaria e le avevo detto che se mi fosse accaduto qualcosa avrebbe dovuto consegnarlo ad alcune persone che le avevo indicato: un mio amico, il giornalista Massimo Franco e un avvocato». Effettivamente una seconda copia viene consegnata ai carabinieri proprio dalla segretaria e Gotti esclude che in circolazione ce ne possano essere delle altre.
Lo scontro
sui conti segreti
Ai magistrati romani Gotti chiarisce, come del resto aveva già fatto in passato dopo il sequestro dei 23 milioni transitati per lo Ior, che «io sono sempre stato al vertice, dunque non mi occupavo della gestione dei conti». Non nega però di non aver ottenuto risposta quando aveva chiesto di sapere a chi fossero intestati alcuni depositi che risultavano registrati in maniera cifrata. Un netto rifiuto era stato opposto dal direttore generale Cipriani «che è sempre stato contrario alla linea di trasparenza che volevo intraprendere». Il sospetto è che in realtà su quei conti ci siano soldi della mafia e proventi di altre attività illecite, comprese le tangenti pagate a politici e alti funzionari dello Stato. Ed è proprio per questo che Gotti evidentemente temeva «per la mia vita, ho paura che possano ammazzarmi».
Nell’introduzione del memoriale Gotti elenca «i passi da fare per entrare nella "White List" dell’Unione Europea» e le personalità che si oppongono. In questo contesto cita il cardinale Tarcisio Bertone, gli «altri oppositori», ma anche coloro che lo appoggiano, e allega le mail con i collaboratori di Benedetto XVI.
Molto altro si potrà scoprire analizzando il contenuto dei suoi computer. I magistrati hanno già copiato l’intero archivio informatico che sarà esaminato nei prossimi giorni alla presenza del legale e di un consulente. Poi Gotti dovrebbe essere nuovamente interrogato sia dai pubblici ministeri romani, sia dai napoletani. La sua collaborazione viene ritenuta preziosa, ma gli inquirenti appaiono convinti che i documenti consegnino elementi importanti per ricostruire numerose operazioni sospette.
Fiorenza Sarzanini