MASSIMO GRAMELLINI, La Stampa 8/6/2012, 8 giugno 2012
Gli occhi di Sara - Non ho parole, esala Sara Errani, un attimo dopo essersi sdraiata sulla polvere rossa del Roland Garros con la certezza di essersi arrampicata sopra un sogno: finalista in singolare e in doppio nel torneo di tennis in terra battuta più importante del mondo
Gli occhi di Sara - Non ho parole, esala Sara Errani, un attimo dopo essersi sdraiata sulla polvere rossa del Roland Garros con la certezza di essersi arrampicata sopra un sogno: finalista in singolare e in doppio nel torneo di tennis in terra battuta più importante del mondo. Non avendone neanche noi, di parole, ci atteniamo strenuamente ai gesti, che contano molto di più. Per esempio il mulinare inesorabile delle sue gambette strutturate. Gambe da autentico donnino romagnolo, questa genia di femmine coraggiose che sanno godere e soffrire con la stessa sfrontatezza. E poi gli occhi di Sara, inquadrati dalla telecamera mentre aspetta il servizio dell’avversaria. Non sono occhi da tigre, serrati a fessura in una smorfia di risolutezza. E neppure occhi da valchiria, dilatati dalla tensione. Sono laghi, placidi e profondi. Gli occhi della vera passione, che non è un soprassalto isterico di adrenalina, ma una lenta e solenne espansione di energia che consente a una ragazza minuta di domare furenti gigantesse. Se ne vedono sempre meno in giro, di occhi così. La disillusione e il vittimismo - stati d’animo giustificabili ma ferali - hanno divorato la nostra passione, restituendoci sguardi slombati, lividi, arresi. In guerra col mondo eppure incapaci di inquadrare qualsiasi obiettivo. Non bastano le gesta di una campionessa risoluta a cambiare i gesti degli umiliati e degli offesi che bolleranno anche queste righe come esercizio di retorica vuota. Ma almeno possono fungere da ripasso, aiutandoci a ricordare che è solo con quegli occhi lì che si vive la vita davvero.