Giuseppe Tamburrano, Sette 8/6/2012, 8 giugno 2012
«VOLEVANO GRAMSCI NEL CENTRO-SINISTRA»
La polemica su Gramsci, comunista ortodosso o democratico libertario, dura da almeno 50 anni. In un saggio biografico, uscito nel 1963, ho cercato di liberare il grande intellettuale italiano dai tentacoli dello stalinismo e ho sostenuto che Gramsci prende atto che la rivoluzione violenta di tipo leninista non è ipotizzabile nell’Occidente evoluto e teorizza la guerra di posizione centrata sulla conquista del consenso attivo (l’egemonia). Un articolo a tutta pagina di Paolicchi sull’Avanti! dal titolo “Gramsci demistificato” suscitò il sospetto del Pci che i socialisti volessero far entrare Gramsci nella stanza dei bottoni del centro-sinistra. Il libro, dopo una prima recensione favorevole di Spinella sull’Unità, fu massacrato. Dopo una recensione di Mondolfo, scese in campo Togliatti per stroncare il mio lavoro esaltando Gramsci leninista originale. Allora si fronteggiarono i comunisti che difendevano il Gramsci “originale” di Togliatti e alcuni socialisti che lo volevano emancipare dallo stalinismo. La polemica continua, ma a parti rovesciate: alcuni socialisti sono fermi al Gramsci lenin-stalinista, mentre altri lo accolgono nel campo socialista libertario.
Il cambiamento in carcere. Gramsci giovane fu fautore della rivoluzione violenta, ma non fu un totalitario: «Noi non saremo conservatori nemmeno in regime socialista realizzato» (da L’orologiaio, p. 125, in Scritti giovanili, Antonio Gramsci, Einaudi editore) e, cioè, fu un rivoluzionario libertario che affascinò Gobetti. Nel carcere muta la sua prospettiva e abbandona il leninismo: «Mi pare che Ilic avesse compreso che occorreva un mutamento della guerra manovrata applicata vittoriosamente in Oriente alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente».
Il passaggio dalla guerra manovrata alla guerra di posizione è la rinuncia alla violenza a favore della graduale conquista del consenso perché il capitalismo occidentale è un sistema complesso, una rete di istituzioni (“trincee” e “casematte”) che inverano l’adesione della grande maggioranza degli “sfruttati” al regime dominante, che perciò è anche dirigente. La rivoluzione comunista deve perciò proporsi di conquistare questa rete immettendo valori nuovi, socialisti, nel circuito socio-culturale fino al successo elettorale che è la fase terminale del processo egemonico guidato dal partito “intellettuale organico” e da una tela di organismi “di massa”. La direzione intellettuale e morale va conquistata dal partito prima della conquista del potere (dominio) e mantenuta dopo.
Costruire l’intellettuale collettivo. Si tratta di una concezione originale del socialismo e della democrazia, una concezione originale di socialismo democratico. Il consenso al tipo di società in cui si vive si forma attraverso l’influenza del mondo esterno e degli innumerevoli istituti e strumenti della società, dalla scuola alle leggi, dalla consuetudine alla Chiesa, ai mezzi di comunicazione di massa ecc.: sono questi strumenti che gli intellettuali (o “l’intellettuale collettivo” che è il partito) debbono criticare e usare in modo nuovo per conformare i cittadini a una visione alternativa di società.
Sono trasparenti le critiche alla “statolatria” stalinista perché se in determinate circostanze – la Russia zarista – la conquista del potere esige una dittatura, si deve trattare di uno stato di emergenza che deve tendere alla democrazia e alla estinzione dello Stato. E il necessario centralismo istituzionale non deve essere “organico”, ma fondato sulla libera e diretta partecipazione anche se ciò può dare l’impressione della disgregazione: «Un’orchestra che fa le prove, ogni strumento per conto suo dà l’impressione della più orribile cacofonia; eppure queste prove sono la condizione perché l’orchestra viva come un solo “strumento”» (Note su Machiavelli, p. 158).
Verso una democrazia organizzata. A oscurare questa concezione democratica libertaria, vi è la frase sul partito sulla quale hanno insistito le critiche di Matteucci e Mondolfo: riguarda il “moderno principe”: «Il partito è punto di riferimento di ogni atto utile o dannoso. Il Principe prende il posto nelle coscienze della divinità o dell’imperativo categorico».
Presa a sé la frase fa venire i brividi del totalitarismo. Ma Gramsci, che spesso cadeva nell’enfasi, descrive il fenomeno in corso in Occidente del passaggio da una organizzazione notabilare e oligarchica a una democrazia organizzata, con partiti strutturati, partecipati e con regole rigide, oppure propone un partito comunista “divinità e imperativo categorico”? Questa seconda interpretazione sarebbe in contrasto con tutto il suo pensiero dei Quaderni.
Giuseppe Tamburrano
presidente Fondazione Nenni
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