Vittorio Zincone, Sette 8/6/2012, 8 giugno 2012
L’ATTRAZIONE TRA UOMO
E DONNA? IN FUTURO SPARIRÀ–
Ha visitato migliaia di donne e operato valanghe di seni. Il suo nome è diventato sinonimo di lotta contro i tumori. “Sua sanità” Umberto Veronesi, 86 anni, oncologo di fama planetaria, ex dominus dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, plurilaureato honoris causa, inventore della “quadrantectomia” e della tecnica del linfonodo sentinella, non si ferma mai. Malgrado l’età, salta quotidianamente da un appuntamento all’altro della Fondazione che prende il suo nome. È uno dei fondatori dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC), nonché della Scuola e dell’Istituto Europeo di Oncologia, di cui ancora oggi è Direttore Scientifico.
Alto e con parlata lievemente meneghina, generalmente viene presentato come colto e amante del poeta Vladimir Majakovskij. Gli tendo un agguato. Completi questo verso: «Purpureo e bianco…». Replica pacato: «…Rigettati e gualciti nel verde hanno buttato manciate di ducati».
Veronesi è politicamente poco decifrabile. Abbraccia sia simboli classici della gauche italiana sia vessilli del liberalismo: vorrebbe legalizzare le droghe leggere e non disprezza il nucleare. È a favore del testamento biologico (il suo è consultabile online) e non è contrario agli Ogm. È un pacifista non violento e non disprezza gli inceneritori. Grillo e i “grillini” lo hanno attaccato duramente proprio per le sue posizioni sui termovalorizzatori. Quando glielo ricordo il professore non si scompone: «Gli esperti del ministero della Sanità mi hanno assicurato che non provocano il cancro». Che cosa pensa del grillismo? «Grillo è stato bravo a interpretare un disagio diffuso nelle giovani generazioni, causato anche da un eccesso di penetrazione della politica nella vita civile. È possibile che gli ospedali pubblici abbiano direttori di nomina politica? Ha fatto bene Pizzarotti, il nuovo sindaco di Parma, a scegliere gli assessori in base alla capacità e non al credo politico. È un buon segnale per il Paese».
Veronesi ha fatto parte dell’Assemblea nazionale craxiana del Psi. Ha aderito al movimento Libertà e giustizia. È stato ministro con Giuliano Amato (nel 2000). E nel 2010 il governo Berlusconi lo ha nominato presidente dell’Agenzia per la sicurezza nazionale: «Dopo meno di un anno mi sono dimesso». Dal libro che ha appena scritto (Il primo giorno senza cancro, Edizioni Piemme), però, risulta chiaro che nella vita di Veronesi tutto è stato sempre secondario rispetto alla lotta contro i tumori. Partiamo da qui, allora.
Quanto è lontano il primo giorno senza cancro?
«Secondo le proiezioni più accreditate, sarà tra qualche decennio».
I tempi della lotta contro il cancro.
«Più che i tempi le dico i fronti su cui ci si deve impegnare. Primo: la cura del malato. E già oggi il 60% dei pazienti guarisce. Secondo: il miglioramento della qualità della vita dei pazienti. E siamo a buon punto. Io sono stato il primo ad abbandonare la mastectomia, proprio per evitare traumi nelle pazienti e portare a una guarigione che lasci poche tracce. Terzo: impedire che la malattia si manifesti. E qui torniamo ai decenni di cui le dicevo».
Quanto investe e quanto dovrebbe investire oggi l’Italia nella lotta al cancro?
«Investe circa cento milioni di euro. Dovrebbe investirne almeno tre volte tanto».
Molti ricercatori si lamentano: siamo appesi alle donazioni e ai risultati di manifestazioni come Telethon.
«AIRC e Telethon hanno aperto una stagione di speranza nel Paese, motivando i cittadini a partecipare allo sviluppo della ricerca».
La lotta contro i tumori comincia con la prevenzione. È vero che l’alimentazione è così importante?
«Una buona dieta mediterranea può aiutare».
Lei da quanto tempo è vegetariano?
«Da alcuni decenni».
È una scelta salutista o etico-animalista?
«È soprattutto una scelta etica».
Una volta ha detto che il consumo di carne potrebbe avere effetti tremendi sul pianeta.
«Oggi, sul pianeta, ci sono due miliardi di persone che mangiano carne. Per questa loro alimentazione dobbiamo nutrire quatto miliardi di animali da allevamento. Cosa accadrebbe se tutti e sette i miliardi di esseri umani consumassero carne? Inoltre la carne è un pericolo per l’ambiente: occorrono migliaia di litri d’acqua per produrre un chilo di carne».
È vero che è a favore dei cibi transgenici?
«Non sono contrario. La scienza ha dimostrato che non sono pericolosi per la salute dell’uomo».
Il tema delle coltivazioni biologiche non la appassiona.
«Non credo che ci siano grandi differenze: ci sono pro e contro sia nelle coltivazioni normali sia in quelle cosiddette bio».
I cibi mutati possono mutare anche gli esseri umani?
«È scientificamente assurdo. L’uomo e la donna stanno cambiando, ma per altri motivi».
L’uomo e la donna stanno cambiando?
«Le differenze biologiche rimarranno sempre, ma andranno ad attenuarsi nel tempo. Non parlo di una mutazione, eh. Siamo in campo antropologico. E le cause del cambiamento sono semplici: all’inizio dello scorso secolo eravamo un miliardo, oggi, siamo sette miliardi. È difficile pensare che si possano avere più di due figli per ogni coppia. Il tramonto delle donne che allevavano dai 10 ai 15 figli ha spinto il mondo femminile a occuparsi dell’attività pubblica. Con grandissimo successo. Contemporaneamente, l’uomo sta perdendo le sue caratteristiche maschili più rozze e tende a trasformarsi in una figura sessualmente ambigua. L’attrazione tra i due sessi si potrebbe attenuare di conseguenza».
Ci aspetta un futuro con meno sesso?
«No, non con meno sesso. Si svilupperanno altre forme di sessualità».
Cambierà anche il modello di famiglia?
«Il matrimonio tra omosessuali è già accettato in molti Paesi. E sì, certo, si aprono nuovi scenari (non necessariamente negativi) nei futuri assetti socio-familiari».
Lei ha raccontato che sua madre Erminia le ha fatto anche da padre…
«È vero. Ho perso mio padre a soli sei anni».
È vero che all’inizio voleva studiare psichiatria?
«In guerra avevo assistito ad atrocità assurde. Volevo ricercare le origini del male».
Come è finito a studiare i tumori?
«Quando sono entrato all’Istituto Nazionale dei Tumori sono rimasto sconvolto dal dolore, l’abbandono e la rassegnazione dei malati e dei medici. Da allora ho deciso di dedicare tutta la vita alla lotta al cancro. I professori, delusi, stroncarono la mia scelta. “Ricordati che la ricerca sul cancro è una ricerca perdente”, mi dissero».
All’Istituto Nazionale dei Tumori lei è entrato come volontario ed è diventato direttore nel 1975.
«Per molti anni abbiamo lavorato nell’isolamento più totale. Circondati dall’indifferenza».
Nel 2000 chi la chiamò per fare il ministro?
«Giuliano Amato, in persona».
Della sua permanenza al ministero lei stesso disse: «Parliamoci chiaro. Come ministro non ho fatto un granché».
«Intendevo dire che un ministro della Sanità in un Paese in cui la Sanità è affidata alle Regioni non ha molte possibilità d’azione. Dopodiché ho lavorato molto. Ho scritto una legge contro il fumo. Una contro il dolore, autorizzando l’uso degli oppiacei. Ho creato l’educazione medica continua. Ho affrontato l’emergenza mucca pazza. E con Renzo Piano abbiamo posto le basi progettuali per lo sviluppo di un percorso di rinnovamento degli ospedali italiani».
Lei crede in Dio?
«Non sono credente. E le sofferenze a cui ho assistito mi hanno ulteriormente allontanato da Dio: di fronte a un bambino con il cancro ci si chiede come questa possa essere la volontà di Dio».
Quand’è l’ultima volta che ha operato?
«Ieri».
Quante operazioni avrà fatto durante la sua carriera?
«Circa 20.000».
È vero che per molto tempo le donne che la incontravano le chiedevano visite volanti?
«Effettivamente mi sono trovato a visitare seni in situazioni imbarazzanti. Qualche volta dietro una semplice tenda».
Quanto c’è di psicologico nel lottare contro un cancro?
«Il vissuto psicologico del cancro è ancora molto problematico. Ho lottato tutta la vita contro i fantasmi evocati da questa malattia e i suoi simboli. Combatto l’uso della parola cancro come metafora».
In che senso?
«Fosse per me non si dovrebbero più usare espressioni come “la mafia è il cancro del Paese”. Per chi lotta contro i tumori l’identificazione del cancro con “il male” è un problema».
Lei ha descritto più volte il momento in cui le è toccato comunicare a un paziente che aveva un tumore.
«Bisogna trovare parole che trasmettano sempre speranza o se possibile certezza nella guarigione».
Le è capitato di non riuscire a trattenere le lacrime?
«Certo. Nelle situazioni più tragiche piange la paziente, piange l’infermiera e piango anch’io».
Siamo lontani dall’immaginario algido e cinico del Dr. House televisivo.
«Non guardo la tv».
Lei ha un clan di amici?
«Le amicizie cambiano con l’evoluzione della cultura e della personalità di ognuno di noi. Le neuroscienze hanno dimostrato che le cellule cerebrali si rigenerano. Siamo in continuo mutamento».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Ne ho fatti tanti. Forse il più grande è stato di non aver seguito la mia vocazione di genetista».
La scelta che le ha cambiato la vita?
«Non una, ma mille. La principale è stata quella di non trasferirmi in America quando mi fu chiesto».
Il film preferito?
«Almeno cinque: Otto e mezzo di Federico Fellini, Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Gran Torino di Clint Eastwood, This must be the place di Sorrentino e L’imbalsamatore di Garrone».
La canzone?
«Ascolto soprattutto la musica classica, ma amo anche le canzoni di Celentano e di Battisti».
Il libro?
«L’uomo senza qualità di Musil. È un romanzo che approfondisce le contraddizioni dei nostri sentimenti. Ulrich, il protagonista, riassume in sé gli aspetti enigmatici della nostra esistenza».
Sa quanto costa un preservativo?
«Non so. Spero costi poco».
Lo Stato dovrebbe distribuirli nelle scuole?
«Perché no? È stato fatto in Francia».
Succederà mai in Italia?
«Temo di no».
Conosce l’articolo 9 della Costituzione?
«È quello sulla ricerca. Ed è imprescindibile per il progresso del Paese».
Vittorio Zincone
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